Le donne che curano i nostri affetti

Guardare dietro il lavoro delle badanti

07/07/2010

Donne capo famiglia e prime- migranti, istruite, madri a distanza, giornate senza fine: dietro la forza il rischio depressione. (Ricerca CISL Regionale Piemonte, Università di Torino)

  Le donne che svolgono il lavoro di cura hanno, nella maggioranza dei casi, un’età superiore ai 40 anni e sono soprattutto di nazionalità ucraina e di altri paesi dell’Est europeo. Più giovani, sotto i 40 anni, le marocchine, le rumene e le latinoamericane.

Posseggono titoli di studio medio-alti e il 75% ha un diploma o una laurea, mentre il restante 25% ha solo una scolarizzazione di base. Lo rivela lo studio realizzato su un campione di 500 badanti che svolgono la loro attività in Piemonte e che vengano da 31 nazionalità diverse.

Circa la metà (48,3%) è coniugata, il 20% è separata o divorziata, il 16% è single e nubile, l’8% vedova e il 5% convive con un compagno.

Dall’analisi della condizione abitativa, i dati confermano che il 34,6% delle intervistate vive con coniuge o figli o altri parenti.

La maggioranza del campione (58,4%) è costituito da lavoratrici co-residenti con l’anziano, mentre il 31% lavora solo di giorno nell’ abitazione dell’assistito, e sono poche (2,8%) quelle che fanno il turno di notte.

In quanto al tipo di migrazione, si è in presenza di una migrazione di donne capofamiglia o prime migranti (3/4 del campione) in cui le moglie (76%) o le madri (65%) emigrano per prime, invece le donne sole o senza figli costituiscono una minoranza esigua.
Molte di loro, come responsabili dell’economia familiare, fanno crescere i figli in patria, affidandoli a familiari e parenti e svolgono a distanza il loro ruolo materno.

Per il 40% del campione i problemi economici familiari, particolarmente gravi per le donne rumene, sono riconosciuti come principali fattori da cui scaturisce la decisione di migrare.
Seguono le condizioni oggettive di crisi economica e politica del proprio paese d’origine (20%): in totale oltre il 60% del campione attribuisce a tali aspetti un’importanza fondamentale. I problemi economici familiari sono più gravi per rumene, latinoamericane ed ucraine. Circa il 16% del campione intervistato imputa la decisione di migrare in Italia ad aspetti come la differenza di salario e la facilità dell’inserimento nel mercato del lavoro, in particolare sottolineata dalle donne dell’area Maghreb.

Il ricongiungimento familiare caratterizza soprattutto le nordafricane e le albanesi. Per quanto riguarda la modalità di ingresso, il visto turistico (della durata di tre mesi, acquistato in agenzie turistiche specializzate nel paese di origine) sembra essere la strada di accesso più comune e riguarda il 60% delle donne.

Per quanto riguarda il contratto di lavoro, il 74,8% del campione dichiara di averlo, contro il 18,7% che dichiara di non averlo. La pratica dell’assumere senza contratto è particolarmente presente quando l’assistente familiare è priva di permesso di soggiorno ed avviene più frequentemente per coloro che provengono da Maghreb e America Latina.

Per quanto riguarda il versamento dei contributi, il 47,5% delle assistenti afferma che è il datore di lavoro a versare i contributi, mentre il 25,9% versa la propria quota spettante.

Dal campione emerge che il 63% fruisce delle ferie, mentre il 34% afferma di non aver fatto le ferie.

Per l’assistente familiare il poter vivere in casa dell’anziano significa, da un lato, essere sollevata dai problemi d’affitto, vitto e da tutte le spese relative all’abitazione, dall’altro comporta l’entrare in un sistema problematico: oltre gestire ed accudire l’anziano, spesso l’assistente familiare conduce l’intero ménage della casa, si sobbarca le richieste discordanti tra figli e genitore, è sottoposta allo stress correlato all’aggravarsi della malattia e quindi della dipendenza, in particolare negli ultimi tempi di vita della persona assistita.

Riguardo alle modalità di permanenza sul posto di lavoro, il 51,1% dichiara di rimanervi giorno e notte: anche se ciò non sempre vuol dire continuità di lavoro, inteso come mansioni da svolgere, significa comunque una presenza continuamente vigile e la certezza di essere facilmente disturbate.

 Il 56,7% dispone di una stanza propria, il 33,8% dorme nella stessa stanza dell’anziano o è sistemata in maniera precaria nella parte di corridoio attigua alla sua stanza.

Per queste ed altre ragioni sono numerose le assistenti familiari che denunciano malattie psicosomatiche, squilibri del comportamento (alcoolismo) o vere e proprie malattie psichiatriche.

Il progettare tempi brevi di permanenza pone l’assistente familiare in una condizione di permanente estraneità, di passività circa l’integrazione e la ricerca di altre occupazioni; guadagnare tanto nel più breve tempo possibile è una strada quasi inevitabile di “autodistruzione”.

Per il 36,2% delle assistenti familiari, il principale problema percepito come causa del loro disagio anche fisico, è la solitudine legata all’orario prolungato, al fatto di vivere sovente in ambienti ove gli orari dei mezzi pubblici sono poco compatibili con quelli del tempo libero, alla difficoltà di avviare nuove amicizie.

I problemi di salute (25,2%) e gli stati di depressione (24,7%) mostrano percentuali abbastanza alte, che manifestano una condizione di malessere piuttosto diffusa.

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