25/05/2011
La radiografia del Paese che esce dal rapporto annuale dell’Istat segnala tante problematiche della società italiana che fanno fatica a sciogliersi e a imboccare vie più promettenti e liberanti. La questione del lavoro dei giovani, il non riconoscimento della formazione professionale, il ruolo dei lavoratori stranieri sono solo alcune delle tematiche che - con l’aiuto dei numeri - l'Istat ha fotografato.
Fra i temi affrontati anche la difficile conciliazione tra famiglia e lavoro, con amare conseguenze per le donne, mentre fatica a svilupparsi una più equa divisione dei compiti informali di cura, nonché delle faccende domestiche. Naturalmente si tratta di fenomeni legati fra loro, e che insieme indicano una situazione di stagnazione.
Il testo che segue, parte della sintesi pubblicata dall’Istat, parla da sé.
Le donne:
"Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata
la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata,
tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici
domestiche alle addette ai call center.
Lo sviluppo dell’occupazione femminile parttime nel 2010 è stato poi caratterizzato dalla diffusione dei fenomeni di involontarietà, mentre è andato ampliandosi il divario di genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40 per cento delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto.
La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione
delle donne al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione delle donne italiane, già
inferiore alla media europea tra quelle senza figli, è ancora più contenuto per le madri, segno che i percorsi lavorativi delle donne, soprattutto quelli delle giovani generazioni, sono segnati dalla difficoltà di conciliare l’attività lavorativa con l’impegno familiare.
Non a caso più di un quinto delle donne con meno di 65 anni occupate, o che sono state tali in passato, dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa nel corso della vita a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per altri motivi familiari,
contro appena il 2,9 per cento degli uomini.
Per le donne che hanno avuto figli la quota sale al 30 per cento; nella metà dei casi la causa dell’interruzione è proprio la nascita di un figlio.
Mentre nel corso del tempo la quota delle madri che interrompono l’attività per
matrimonio si riduce significativamente (dal 15,2 per cento delle madri nate tra il
1944 e il 1953 al 7,1 per cento di quelle nate dopo il 1973), le interruzioni legate
alla nascita di un figlio si mantengono, per le diverse generazioni, su livelli vicini al
15 per cento.
In oltre la metà dei casi, poi, interrompere il percorso lavorativo in occasione
di una gravidanza non è il risultato di una libera scelta: sono circa 800 mila
(quasi il nove per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato) le
donne che, nel corso della loro vita, sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza, e solamente quattro su dieci hanno poi ripresoil percorso lavorativo.
A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno, per le quali più frequentemente le interruzioni si trasformano in uscite prolungate dal mercato del lavoro e la quasi totalità di quelle legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.
In un Paese in cui le politiche di conciliazione lavoro-famiglia non hanno ancora
realizzato la flessibilità organizzativa caratteristica di altri paesi europei, alle difficoltà che le donne incontrano nel mercato del lavoro si associa lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi.
La divisione dei ruoli nella coppia e l’organizzazione dei tempi delle persone, infatti, risentono di una forte asimmetria di genere, che interessa tutte le aree territoriali e tutte le classi sociali.
Per una donna, avere un’occupazione e dei figli continua a tradursi in un sovraccarico di lavoro di cura, mentre per gli uomini il coinvolgimento nel lavoro familiare mostra una contenuta progressione nell’arco degli ultimi venti anni, soprattutto per quello
orientato alla cura dei figli.
Per far fronte alla difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia (circa i tre quarti
del lavoro familiare delle coppie è appannaggio della donna), confermando una tendenza
documentata a partire dalla fine degli anni Ottanta, le lavoratrici riducono il
tempo dedicato al lavoro familiare, operandone una redistribuzione interna, diminuendo l’impegno nei servizi domestici e dedicando più tempo ai figli.
Al crescere dell’età della donna le differenze di genere nei carichi di lavoro familiare si acuiscono ulteriormente.
Anche in età anziana, quando si potrebbero creare i presupposti
per una maggiore condivisione del lavoro familiare per effetto dell’uscita dal mercato del lavoro di entrambi i partner, le differenze di genere restano forti e sostanzialmente stabili nel tempo: in altri termini, concluso l’impegno per il lavoro retribuito,
gli uomini vanno in pensione, dedicandosi quasi a tempo pieno ai propri interessi,
mentre le donne continuano a occuparsi del partner, della casa e degli altri
membri della famiglia.
Il testo integrale del rapporto annuale e le innumerevoli tabelle possono essere scaricati dal sito dell’Istat.
Rapporto Annuale. La situazione del Paese nel 2010. Affrontare le vulnerabilità, assicurare la coesione, accelerare il cambiamento