08/05/2012
Tesi di Paola De Giorgi
Relatore: Fabio Magro
Anno accademico 2010-2011
Laurea in Scienze Religiose
Istituto Superiore di Scienze Religiose di Portogruaro
Paola De Giorgi
Per una corretta interpretazione dell’amore sponsale nella sua
dimensione corporale, alla luce di una rilettura antropologico-teologica
della persona umana, contro la rottura dicotomica imposta all’uomo
dall’alienazione della società attuale.
Introduzione
L’intento del lavoro che presento è quello di rileggere la sfera della sessualità alla luce della teologia del corpo, come indicata nel messaggio della Sacra Scrittura e illuminata dalle indicazioni del Magistero.
Per procedere in questo percorso è indispensabile considerare lo stato della questione nella situazione attuale, da cui si evince che la società contemporanea si offre in un contesto di fragilità e problematicità caratterizzanti, frutto dell’evolversi del pensiero storico e culturale.
Fin dai tempi antichi, infatti, l’uomo è stato diviso
tra la tensione alla soddisfazione di una forza ritenuta arcana e ancestrale e il rispetto di strutture antropologiche volte alla salvaguardia del bene sociale: se si guarda alla mitologia e alla letteratura classica, è facile notare come, già allora, l’energia delle pulsioni sessuali fosse riconosciuta nella sua carica d’impeto, al punto da essere per questo condannata e temuta, o all’opposto considerata fonte di ilarità.
La tradizione filosofica occidentale — fondata sui sistemi platonico-aritotelici — ha poi posto le basi per un’
organizzazione ontologica del reale concepita nella divisione tra ciò che appartiene al mondo fisico e immanente e ciò che riguarda invece il mondo metafisico e trascendente.
Il radicalizzarsi della proposta platonica per la lettura e lo studio del reale, ha favorito il formarsi e acuirsi di quell’opinione per la quale ogni manifestazione corporea — nella dimensione più intima e privata — fosse da attribuirsi a perversioni alimentate dal germe della concupiscenza e della lussuria.
A partire dagli scritti dei Padri apostolici e poi a crescere lungo tutto il corso dell’epoca medievale,
si era divisi tra la tendenza spiritualistica alla trascendenza e la materialità di un corpo espressione del vincolo e della condanna, forse anche a causa di un’errata interpretazione della Scrittura.
In seguito il rifiorire di
una visione antropocentrica alimentata da umanesimo e rinascimento, il fiducioso abbandono alle capacità razionali favorito dalla rivoluzione scientifica e infine l’imperversare dell’aspettativa assoluta accordata alla ragione illuministica, ha spinto l’uomo
a proiettarsi lontano da ogni rigorismo metafisico e ascetico, crescendo in lui la convinzione di essere e di bastarsi da sé stesso.
Non c’è perciò da stupirsi se nella società attuale si soffre una situazione di
alienazione dell’individuo, vissuto nella rottura schizofrenica dell’esistenza frantumata nella dicotomia tra la dimensione corporale e quella spirituale.
Il dilagare di sistemi ideologici, tesi ad offrire una visione unilaterale della vita e dell’uomo nelle sue manifestazioni — soprattutto in materia di sessualità — ha favorito e alimentato una mentalità assolutistica pur nel suo relativismo: tutto va bene ed è giustificato, purché riconducibile a una massima di pensiero.
«Smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo».
In un mondo governato dal senso del possesso e dall’efficientismo,
la dimensione sessuale della persona non è più vissuta come espressione dinamica della totalità del soggetto incarnato secondo la logica della creazione, ma rischia di venir sminuita fino a ridursi a merce di scambio per l’acquisto del proprio e altrui piacere, nella convinzione che del corpo — al pari di ogni altra manifestazione materiale — si possa disporre a proprio piacimento. Ecco allora che il corpo viene vissuto nell’esasperata
ricerca edonistica della soddisfazione di ogni propria pulsione.
Il percorso perseguito
L’obiettivo perseguito è quello di
presentare una corretta visione dell’essere umano nella totalità e integrazione delle sue dimensioni costitutive, per favorire un'esatta lettura e interpretazione della componente corporale, secondo il senso inscritto in lui fin dall’atto creativo del Padre.
In questa direzione si procede innanzitutto da una presentazione della mentalità diffusa nella società contemporanea, cercando di individuare il punto dal quale sarà necessario partire per lo sviluppo della considerazioni successive.
Lontani da qualsiasi pretesa esegetica, si passa poi alla ripresa del significato dei termini biblici utilizzati per la descrizione dell’uomo, tentando
il recupero di un’antropologia adeguata come rivelataci nella Scrittura già nell’Antico Testamento.
Il punto di riferimento è offerto dalle riflessioni magisteriali, che di volta in volta vengono approfondite dalla prospettiva catechetica di Giovanni Paolo II e dagli studi di etica e morale sessuale di altri autori.
Una volta poste queste premesse, si cerca di
oltrepassare la visione dicotomica che pervade il senso dell’esistenza dei nostri giorni: portando a sintesi due correnti di pensiero opposte — monismo e dualismo — e sottolineando il
ruolo fondamentale giocato dalla mediazione della coscienza nel processo di auto-comprensione che l’uomo ha di sé.
Passando attraverso una prospettiva esistenziale ed esperienziale, si considera anche il corpo come dato puramente organico e strutturato da quel “positum” biologico, comprensibile nella profondità del suo valore ontologico.
Questo percorso permette
un ritorno genuino al senso intrinseco dell’esistere umano nella sua manifestazione corporea.
Infine, in un momento di sintesi, si portano
a conciliazione la sfera biologica e psichica dell’uomo con quella più propriamente spirituale, come integrazione di un senso già posseduto fin dal momento della creazione.
Discussione
Quest’itinerario traccia un percorso che — partendo da una valutazione della situazione corrente e passando attraverso una corretta rilettura antropologica del senso dell’essere ed esistere dell’uomo offerta dalla Scrittura — porta a porre le premesse per una valutazione etica della dimensione corporale dell’amore umano.
Sarebbe errato collocare
la dimensione antropologica e quella etica sullo stesso piano: la possibilità di un antagonismo tra le due è perciò mostrata nella sua evidente inconsistenza.
Nondimeno è da riconoscere che l’etica trova il proprio fondamento e ancoraggio proprio nel darsi di quella “Verità Costitutiva” dell’uomo
inscindibilmente legata alla propria manifestazione corporea, senza la quale si rischierebbe di farne una proiezione di rappresentazioni e intenzioni puramente astratte e inconsistenti.
Il “positum” del dato biologico è verità incontrovertibile — creata dalla stessa Volontà del Padre — da cui sarebbe ingenuo voler prescindere.
Al contrario l’importanza di
come coniugare l’unità della persona, nelle sue varie dimensioni, è ciò che permette di superare il limite di uno sdoppiamento dicotomico del soggetto; equivoco al quale siamo invece sottoposti
nell’ottica dualistica della società contemporanea.
Questa prospettiva consente una comprensione più profonda dell’orientamento etico, poiché permette
una rivalutazione antropologica in chiave dinamica: la persona non si limita ad essere un “positum” come assioma dato e stabilito.
Questo al più potrà dirsi della “Verità Costitutiva” che fa della persona
una realtà in “avvenire”, cioè un soggetto capace di offrirsi a una vitalità relazionale di dono e accoglienza.
Ciò che si vuole evidenziare non è una nuova prospettiva epistemologica dell’uomo. L’antropologia teologica non mette in discussione il darsi oggettivo dell’uomo nell’evidenza di una natura creata secondo determinate leggi.
Tutt’al più cerca di
situarlo nel dinamismo dell’apertura alla libertà e responsabilità come ambito della risposta alla chiamata offerta dalla creazione, lì dove è possibile comprendere che la fragilità della “carne" è la medesima che permette il realizzarsi della libertà del dono di Dio come Spirito che inabita il nostro corpo.
È` allora che il corpo può davvero offrirsi come il luogo di questo incontro.
L’uomo è carnale solo perché si trova in una condizione di “peccabilità”, intesa come possibilità di scelta tra una vita orientata a Dio oppure “al mondo”, da cui il divenire è il frutto di una crescita come risposta a una chiamata personale per un impegno materiale e concreto.
Nello
spiraglio offerto da quest’apertura si gioca tutto il senso dell’uomo: l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio non rimanda ad una partecipazione ontica dell’essere dell’uomo alla sostanza divina, ma coinvolge in un’esperienza di trasformazione morale, frutto dell’impegno e della volontà libera di ciascuno.
Per questo la dottrina ecclesiale sull’unione carnale rivaluta questa dimensione nell’ottica di un’unione sponsale e coniugale in cui riaffiora la vocazione del corpo a esprimere la vita spirituale
cui l’uomo è chiamato a partecipare, perché suscitata in lui dallo Spirito il cui dinamismo è quello del dono.
La realtà umana è costituita da dati biologici certi, ma non perciò conclusi in se stessi.
Per questo una corretta ripresa antropologica è quella che considera il corpo come
luogo dell’espressione di un soggetto capace della propria identificazione, a partire da un confronto aperto con la realtà esterna e filtrato, poi, dalla mediazione della coscienza.
I nostri atti corporei non hanno significati imposti, ma sono
carichi di potenzialità di senso: essi diventano capaci dell’espressione di un senso intrinseco, che è però di volta in volta affermato dalla mediazione della coscienza e dall’intenzione che li guida.
In questo contesto si ribadisce la centralità della
responsabilità umana come capacità di decidere di sé, conforme al concetto biblico espresso dal termine ebraico
«‘Ahab» (inteso nella valenza di orientamento di fondo secondo cui dirigere la propria esistenza).
Il corpo — come luogo della presenza del Signore
(Shekinah), animato dallo spirito e che aspetta di essere vivificato dallo Spirito col sigillo dell’Alleanza — può offrirsi nella piena portata del suo significato intrinseco solo quando la carne si ritira con le sue pretese di assolutizzazione, per lasciarsi abitare dal progetto vivificante del Padre.
“Il senso del corpo si rivela quando la carne tace” ci dice proprio questo: e cioè che non è il corpo a decidere del suo valore — giacché questo è dato inscritto nelle viscere dal suo stesso esistere — ma che
esso può trasparire in tutta la sua portata solo nella libera scelta volitiva di una “carne” orientata a realizzarsi secondo il disegno originario del Creatore.
La sessualità in sé
non può allora dirsi né morale, né amorale.
Questo tipo di giudizi etici dipende dal significato e valore che di volta in volta attribuiamo ai nostri atti: per questo diventa necessario accostare una sincera stima antropologica che funga da presupposto stabile per la fondazione delle valutazioni etiche successive.
Rimane sempre opportuno prestare attenzione alle possibili derive offerte da
“idealismo” e “istituzionalismo”.
Col primo rischieremmo di
vivere l’amore — e soprattutto la sua componente fisica — sull’onda di un trasporto emotivo e ideologico frutto dello spontaneismo, fino a ritenere che esprimere materialmente l’amore sia cosa lecita tout court, in quanto conforme al modello “dell’incarnazione” secondo la Volontà del Creatore.
Col secondo sfoceremmo in un’assolutizzazione della sessualità, risultando naturalmente evidente solo il forte nesso d’interconnessione tra essa e le leggi fisico-biologiche che la determinano.
A governarci non sono le sterili leggi fisiche e naturali, organizzate in strutture di stimoli e impulsi.
La verità propria dell’uomo è la sua apertura al mistero, giacché possibilità di offrirsi liberamente nella risposta alla chiamata all’esistenza voluta dalla creazione.
La differenza tra “moralità” e “amoralità” si gioca tutta
sullo scarto concesso alla persona di determinarsi secondo libertà e volontà.
Questo farà allora del corpo il vero
sigillo dell’incontro e dell’Alleanza.
Quest’Alleanza è pienamente offerta nell’unione ipostatica del Verbo incarnato, cui la creazione fin dall’eternità è pensata e finalizzata per essere redenta e portata a compimento.
Con Cristo il corpo, redento
nella pienezza e totalità del suo significato, mostra all’uomo il valore dell’uomo. Il senso più profondo della “Verità Costitutiva” è già naturalmente iscritto nel cuore e tende a quel comportamento etico fondato sull’Amore oblativo dell’Agape come dono totale di sé.
L’uomo è chiamato a partecipare alla creazione divina offrendosi nella
libertà e volontà di contribuire ad essa con le sue proprie scelte e azioni concrete.
“Astenersi dall’impurità” come consigliato dall’Apostolo, non significa allora tradire il senso del proprio corpo, quanto piuttosto portarlo a pieno compimento secondo quella verità iscritta in esso fin dalla creazione, per cui siamo chiamati ad essere “tempio dello Spirito Santo” per glorificare Dio nel nostro corpo.
L’uomo appare nel mondo
visibile come la più alta espressione del dono divino, che porta in sé la dimensione del dono nel significato sponsale del corpo, secondo il grado di comprensione dell’innocenza originaria.
In questa dimensione il corpo
assume allora la valenza di sacramento originario come «segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità.
E questo è il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente».
All’uomo creato a immagine di Dio è rivelata la sacramentalità stessa della creazione, perché — mediante la dualità sessuale della sua corporeità — l’uomo diventa segno visibile della Verità e dell’Amore di Dio già rivelati in essa.
La
dimensione corporale dell’amore coniugale è allora spiegata come condizione imprescindibile per la realizzazione di quello “Progetto” al quale ciascuno di noi è stato chiamato anche e soprattutto per mezzo di un’esistenza determinata
dall’identificazione con un corpo: il nostro corpo.
Solo attraverso
una riqualificazione della corporeità, illuminata dalla religione dell’incarnazione,
sarà davvero possibile comprendere il significato e il valore del corpo che, nella tenerezza delle proprie manifestazioni, permette di vedere nella sessualità il luogo del dono reciproco.
Sul modello di questo libero donarsi gli sposi possono comprendere la profondità dei loro gesti, che si compiono a partire dalla gratuità di ciò che è stato ricevuto per essere altrettanto gratuitamente offerto: il loro stesso essere ed esistere.
In quest’apertura al mistero,
Cristo è modello e archetipo della creazione che a Lui deve tornare.
Lo stesso amore umano, rappresentato dalla dinamica della tensione sessuale, è espressione dell’unione sponsale Cristo-Chiesa: analogia per cui il matrimonio diventa
segno visibile dell’eterno mistero divino, che si svela nella sua verità essenziale. Il matrimonio, infatti, corrisponde alla vocazione dei cristiani quando rispecchia l’amore di Cristo-Sposo che decide di «“donarsi” al Padre per mezzo dell’obbedienza fino alla morte di croce».
La Chiesa si nutre di questa donazione totale, che è amore sponsale perché amore redentore.
L’Alleanza già posta dalla creazione
diventa definitiva in Cristo e per Cristo che ama la Chiesa fino a dare la vita per lei, unendosi ad essa in modo sponsale.
Ecco allora che
la dimensione etica dell’amore coniugale si situa al livello di una comprensione teologica della creazione non come qualcosa di fatto e concluso, ma nell’apertura all’accoglienza del dono redentore dello Sposo, entrando così nella storia dell’economia salvifica.
Pensati fin dall’eternità nel seno del Padre, creati in vista di Cristo, per mezzo di Cristo e con Cristo, siamo plasmati sul modello dell’amore oblativo di Cristo per la Chiesa,
per cui antropologia ed etica si incontrano nella comprensione che l’agire e l’essere dell’uomo partecipano al mistero del Dono totale del proprio Corpo svelato dal mistero Eucaristico della croce.
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