Annibale di Francia

18/10/2011

Padre Annibale Maria Di Francia appartiene alla grande schiera dei santi sociali che, nel burrascoso periodo successivo all’unità d’Italia, ebbero la fantasia e il coraggio di fare per il popolo quello che i governi tanto celebrati dalla storiografia risorgimentale non seppero (o non vollero) fare, soprattutto nel Mezzogiorno italiano. Lui proveniva da una famiglia nobile, in cui la fede aveva un posto di rilievo: la madre fu la prima catechista dei propri figli; purtroppo rimase vedova a soli 23 anni e a sette anni (era nato il 5 luglio 1851), Annibale fu messo nel collegio di San Nicolò dei Gentiluomini, tenuto dai Cistercensi, dove di solito studiavano i rampolli della Messina-bene. Nel 1866, dopo la decisione governativa di sopprimere gli ordini religiosi e di incamerarne i beni, Annibale proseguì gli sudi come privatista, sotto la guida di Felice Biscazza, un poeta messinese che intuì subito il non comune talento letterario dell’allievo, incoraggiandolo a comporre versi.

La prima, in parte misteriosa svolta nella vita di Annibale avviene sui diciott’anni: il giovanotto vestiva con eleganza, giocava a scacchi, andava spesso a caccia secondo i canoni della buona società, dove tra l’altro era richiesto come abile conversatore e poeta. C’erano tutti gli ingredienti per un futuro brillante quando, improvvisamene, egli decide di farsi prete: «La mia vocazione», scriverà più tardi, «ha avuto tre qualità. Fu improvvisa: per quanto amassi la vita devota, in quel tempo di massoneria e di liberalismo imperante, non pensavo certo alla vita ecclesiastica. Fu irresistibile: sentivo che non potevo sottrarmi all’azione della grazia; dovevo assolutamente cedere. Sicurissima: ero assolutamente certo che Dio mi chiamava, non potevo minimamente dubitare che il Signore mi indicava quella via». Ne parlò col fratello Francesco, il quale ne fu talmente entusiasta che decise di imitarlo (diventerà vicario generale della diocesi e fonderà le Cappuccine del S. Cuore): l’8 dicembre 1869 entrambi vestirono la talare. Inizialmente la madre non era d’accordo, poi ragionò secondo la fede: unica condizione da lei posta fu che prima dell’ordinazione Annibale conseguisse il diploma di maestro.

Dopo il normale curriculum di studi, Annibale riceve il diaconato il 26 maggio 1877. E proprio quando manca una decina di giorni al sacerdozio, avviene l’incontro decisivo per il suo futuro, che determinerà la scelta di campo a cui sarà fedele fino alla morte. Il 3 marzo 1878 si imbatte in un giovane cieco che chiede l’elemosina. Mette mano al portafoglio e dà generosamente come sempre. Potrebbe andarsene, ma sente che quella buona azione non gli basta: dietro quel ragazzo egli intravede una schiavitù di massa che nessuna elemosina è in grado di vincere. Così avvia con lui un colloquio in chiave di evangelizzazione e di promozione umana: il cieco (che poi lo è solo in parte) abita nel malfamato quartiere di Avignone. Alla domanda «Vai in chiesa, reciti le preghiere?» risponde: «E chi me le insegna?». Il diacono Annibale allora decide di andare a vedere dove vive il poveraccio e scopre un quadrilatero di catapecchie intersecate da vicoli senza sbocco, un covo di miserabili: «Vi abitava», sono sue parole, «gente oltre ogni dire misera e abbietta, le più svariate condizioni di povertà, miste con le sue tristi molteplici conseguenze».

Pochi giorni dopo, il Di Francia viene ordinato sacerdote, il 16 marzo 1878. Con l’incoraggiamento del suo vescovo comincia la sua azione di bonifica: «Sono qui per realizzare il Regno di Dio» dice in risposta alle critiche dei benpensanti che, vedendolo mischiarsi ai pezzenti, arriveranno a definirlo «il disonore della famiglia e della classe sacerdotale». Affitta una catapecchia e vi colloca i più malandati del rione, dando loro un letto pulito, abiti decenti, del cibo, la possibilità di lavarsi. La sua è una riforma radicale: gli infermi vanno curati, ma chi può lavorare deve collaborare, essere protagonista della propria riabilitazione. Così nei locali compaiono deschetti da calzolaio, arnesi e banconi da falegname, stoffe e filo per le donne.

Nel 1882 nasce il “Piccolo rifugio” per ragazze orfane e abbandonate, l’anno dopo pensa ai ragazzi, che egli rieduca col metodo di don Bosco basato su ragione, religione e amorevolezza. Poi sarà la volta degli anziani, degli storpi e degli handicappati. Per pagare le spese bussa alla porta delle famiglie ricche, del Comune e della Provincia. I massoni gli negano i sussidi, e non tutti nelle fasce alte della città e nella Chiesa lo capiscono, anzi storcono il naso quando apprendono che a volte questo prete si priva anche delle scarpe per darle ai poveri: «Torni a fare il canonico, dia retta a me» gli dice il vescovo che pure prima lo aveva incoraggiato. Lui preferisce dar retta a Dio. La bonifica prosegue con le scuole popolari e il potenziamento dei laboratori artigiani. Don Annibale arriva a proporre al Governo che si dia ai mendicanti un “assegno vitalizio” (l’odierna pensione sociale). Trova quasi subito dei collaboratori e collaboratrici, ma alcuni, superato l’entusiasmo iniziale, lo abbandonano. Proprio questo lo spinge a cercare altrove aiuti validi e anche stavolta l’ispirazione gli viene dal Vangelo, dove Gesù afferma: «La messe è molta, gli operai pochi. Pregate (Rogate, in latino) il padrone della messe perché mandi operai». Ecco la soluzione del problema: fidarsi solo degli uomini è rischioso, meglio rivolgersi direttamente al “Padrone” della messe. Qui sta l’essenza del carisma del Di Francia fondatore: nascono infatti due congregazioni che hanno come divisa questo verbo evangelico: Rogate, Pregate.

Il 18 marzo 1887 le prime quattro le prime quattro “Figlie del divino zelo” indossano l’abito religioso; dieci anni dopo faranno la stessa cosa i primi tre “Rogazionisti del Cuore di Gesù”. Mentre un vicario generale lo perseguita, minacciando addirittura di sciogliere le due congregazioni, altri santi sacerdoti lo incoraggiano: don Orione, Giacomo Cusmano (quello del”Boccone del povero”), Ludovico da Casoria, Don Bosco, il quale gli suggerisce di servirsi della stampa (e lui fonda il periodico Dio e il prossimo che raggiungerà con gli anni l’astronomica tiratura di 700 mila copie!).

Rogazionisti e Figlie del divino zelo emettono un “quarto voto”: quello di pregare e di impegnarsi con ogni mezzo per suscitare vocazioni ardenti e generose nella Chiesa. I pontefici incoraggeranno padre Di Francia e Benedetto XV si definirà addirittura il “Primo Rogazionista”. Il tragico terremoto che a Messina il 28 dicembre 1908 fece circa 80 mila morti lo costringerà a spostare temporaneamente le sue opere in Puglia, a Francavilla Fontana e a Oria. Ma le due congregazioni opere conosceranno ugualmente una grande espansione. Questo gigante della carità muore il 1° giugno 1927. Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 7 ottobre 1990 e il 16 maggio 2004 lo ha iscritto nell’albo dei santi insieme all’amico Don Orione.

Angelo Montonati
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