Beata Antonia Maria Verna

14/05/2012

Con la beatificazione presieduta domenica 2 ottobre 2011 dal cardinale Bertone, un’altra splendida figura di donna si è aggiunta alla serie dei santi sociali piemontesi: Antonia Maria Verna, fondatrice delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione (Suore di Ivrea). Antonia nasce a Pasquaro, frazione di Rivarolo Canavese, il 12 giugno 1773 da una famiglia di contadini dove la fede aveva un posto importante: entrambi i genitori, di grande rettitudine morale, attingevano dalla recita quotidiana del Rosario spunti per una forma di catechesi straordinariamente efficace, in aggiunta a quella domenicale. La piccola Antonia, che era avida di imparare, appena tornata dalla chiesa ripeteva ai fratellini e ai cuginetti quello che aveva appreso, rivelando fin da allora una speciale attitudine educativa. Ai vicini di casa non sfuggì questa capacità di attrazione di Antonia e, col tempo, le affidarono i propri piccini da custodire: lei li faceva giocare, raccontava piccole storie, insegnava loro le preghiere. Una volta entrata nell’adolescenza, poiché qualche ragazzo le aveva messo gli occhi addosso, i parenti insistevano perché si scegliesse un marito; ma lei, compiuti i 15 anni, dopo essersi consigliata col suo confessore fece privatamente voto di castità poi, d’accordo coi familiari, per alcuni mesi se ne andò da casa. Rientrata in famiglia, riprese la sua attività di educatrice dell’infanzia dedicandosi anche ad assistere i malati poveri a domicilio: se era necessario, passava anche l’intera notte al loro capezzale.

I genitori però non condividevano questa sua attività svolta al di fuori dell’ambiente domestico e immaginavano per lei un matrimonio. Nel 1798, essendo morto suo padre, lei si rese conto che se fosse rimasta a Pasquaro, per mantenersi avrebbe dovuto mettersi al servizio dei fratelli (così si usava allora). Per questo, sui 27 anni si trasferì a Rivarolo, dove i sacerdoti erano già al corrente dell’attività da lei svolta, e poiché una delle forme di povertà che la colpivano di più era l’ignoranza, lei mise in piedi una scuola per i bambini poveri che aveva raccolto per sottrarli alla strada. Ad un certo punto però si rese conto (avendo imparato a leggere e a scrivere da un sacerdote durante le catechesi domenicali) che per questo nuovo impegno la sua preparazione avrebbe dovuto raggiungere un livello più alto; così decise di frequentare la Scuola del Gesù nel vicino paese di San Giorgio non vergognandosi, lei trentenne, di sedersi accanto alle giovanissime alunne: così, seguendo attentamente le maestre, ampliò e migliorò ciò che aveva già acquisito a livello didattico e approfondì le metodologie tipiche di un’educatrice.

A Rivarolo, intanto, alcune giovani attratte dal suo esempio cominciarono a unirsi a lei nella duplice attività al servizio degli infermi e dei bambini; nacque così un “Ritiro” religioso dedito all’educazione delle fanciulle, che assunse diverse denominazioni ottenendo, nel 1817, l’approvazione regia, che poi fu astutamente dirottata a favore di un’altra istituzione fondata da un certo don Bonfante. La Beata ripartì, nonostante svariate traversie e ostacoli, senza mai scoraggiarsi e acquistò una casa adattandola alle esigenze di una comunità religiosa. L’approvazione regia, ostacolata da una causa civile per la ristrutturazione dell’edificio, le giunse soltanto il 7 marzo 1828 con le “Regie Patenti” firmate da Carlo Alberto per il “Ritiro denominato delle Figlie di Carità” di Rivarolo. Poco dopo avvenne la vestizione e la professione di Antonia e delle sue quattro compagne, mentre la fondatrice fu eletta “Superiora dell’Istituto”. Il discorso di circostanza fu tenuto dal padre Giuseppe Giordana, superiore dei Preti della Missione (Lazzaristi) a Torino, che avrebbe diretto per un biennio il ritiro mensile della comunità e tenuto, nei mesi estivi, gli esercizi spirituali, senza però mai interferire nell’autonomia dell’istituto.

Cominciarono ad arrivare le prime postulanti e le prime novizie, ma alla morte inattesa del Giordana, il suo posto fu preso da un altro Lazzarista, il padre Marc’Antonio Durando (beatificato il 20 ottobre 2002 da Giovanni Paolo II), suo vice nella casa di Torino, il quale appena arrivato al Ritiro, a sorpresa depose la Verna da Superiora senza alcuna spiegazione e la mandò “in qualità di suddita” a Montanaro, in una comunità giuridicamente diversa dal Ritiro di Rivarolo, da lui ritenuto (arbitrariamente, seppure in buona fede) una casa delle Figlie della Carità di San Vincenzo. Il Durando tentò anche, senza riuscirvi, di far indossare alle suore di Rivarolo la tipica “cornetta” delle Figlie della Carità, più che mai convinto che l’incorporazione dell’istituto in quello vincenziano fosse ormai cosa fatta: tra l’altro impedì alle suore della Verna di continuare ad assistere a domicilio gli infermi di altro sesso, di notte e non poveri, come invece era previsto dalle Regole dettate dalla Fondatrice. A causa di questa indebita intromissione, i malumori all’interno della comunità si accentuarono e a un certo punto Antonia, con una lettera al Ministro di Grazia e Giustizia, chiese che l’Istituto fosse sottratto alla direzione dei “Signori Missionari”. Anche l’Amministrazione comunale, da sempre entusiasta dell’attività educativa e caritativa svolta in paese, l’appoggiò e alla fine il Ritiro recuperò la sua autonomia, pagandola però a caro prezzo: perse infatti quattro case e diciannove suore che prestavano il loro servizio fuori di Rivarolo. Era il 1835: a 62 anni la Beata si trovò costretta a ricominciare da capo, con sole tre compagne, dimostrando una costanza davvero eroica, sicura che il Signore non l’avrebbe abbandonata, e grazie a nuove vocazioni che affluirono subito, la ripresa proseguì rapida e sicura. Poi lei si ritirò nell’ombra, rinunciando ad essere Superiora, per non dare l’impressione di una “rivincita” su chi l’aveva ostacolata anche in buona fede (come il beato Durando) o in base ad un certo maschilismo presente anche nella Chiesa di allora, soprattutto nei confronti di una donna di estrazione contadina. Carlo Alberto due anni dopo approvava definitivamente i “Regolamenti e Statuti” delle “Sorelle della Carità sotto il titolo della SS.ma Concezione stabilite in Rivarolo”.

La Verna fece in tempo ad aprire il primo asilo aportiano del Piemonte: era stato il sindaco di Rivarolo, massone ma persona di grande onestà, che aveva difeso sempre la Verna e sostenuto la sua opera, a contattare l’abate Ferrante Aporti pensando di istituire uno dei suoi asili a Rivarolo: le suore avevano subito assicurato la propria collaborazione e due di esse erano state mandate a Milano per imparare il metodo aportiano. L’asilo cominciò a funzionare nel luglio 1837 con grande soddisfazione degli abitanti e destando l’ammirazione di personalità che lo visitarono: tra esse i fratelli Cadorna e lo stesso Cavour. Madre Antonia si spense pochi mesi dopo, nel giorno di Natale del 1838, in seguito ad una “breve e dolorosa malattia”, lasciando un ricordo straordinario in tutta la popolazione. Poi cominciarono a verificarsi le grazie ottenute per sua intercessione e si arrivò così alla sua beatificazione. All’inizio del decennio dedicato dalla Cei al problema educativo, la Verna ci lascia un esempio straordinario di fedeltà alla passione educativa che la animò per tutta la vita.

Angelo Montonati
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