Beato Federico Albert

20/05/2013

Ecco un’altra delle glorie torinesi che nell’Ottocento hanno conquistato la gente con la loro instancabile carità e dedizione verso ogni categoria di bisognosi. Il fondatore delle Suore Vincenzine di Maria Immacolata nacque a Torino il.
18 ottobre 1820, primo di sei figli di Luigi Albert, colonnello di Stato Maggiore dell’esercito piemontese, e di Lucia Ricci, figlia di un notaio. Fu battezzato coi nomi di Giovanni, Luigi e Federico. Sotto la guida di un religioso dell’Oratorio di S. Filippo Neri, il giovane avvertì i primi sintomi della vocazione: confessò più tardi che in giorno, mentre pregava nella chiesa di S. Filippo davanti alla tomba del beato Sebastiano Valfrè, si sentì spinto a farsi sacerdote.

Il padre voleva fargli frequentare l’Accademia Militare, ma il giovane rifiutò e sia pure con dispiacere il padre non si oppose alla sua decisione. Nel 1835, dopo aver vestito l’abito clericale, dal re Carlo Alberto fu nominato chierico – prima sopranumerario, poi effettivo - della Cappella Reale e, dopo l’ordinazione sacerdotale, cappellano effettivo della stessa.
L’Albert fu ordinato nel 1843, dopo che aveva conseguito la laurea in teologia.
In quel periodo, Torino vedeva all’opera un gruppo di straordinarie figure di santi: dal Cottolengo con la sua Piccola Casa della Divina Provvidenza, al Cafasso che nel Convitto Ecclesiastico preparava all’apostolato e al ministero Don Giovanni Bosco e don Leonardo Murialdo, fondatori dei Salesiani e della Pia Società Torinese di S. Giuseppe (Giuseppini), mentre in diocesi brillavano per zelo apostolico il lazzarista padre Antonio Durando, don Francesco Faà di Bruno e don Clemente Marchisio, fondatori rispettivamente delle Suore di Gesù Nazzareno, delle Suore della B.V.M. del Suffragio e di S. Zita, e delle Figlie di S. Giuseppe.

Con Don Bosco l’Albert, che si stava affermando come predicatore delle missioni al popolo, stabilì subito un rapporto duraturo di amicizia: il santo lo chiamerà a dettare gli esercizi spirituali ai suoi giovani e spesso gli manderà il suo coro per decorare importanti funzioni liturgiche. Dopo un biennio come Delegato Arcivescovile nella parrocchia di S. Carlo, nel 1852 fu esonerato dall’incarico di cappellano della Cappella Reale, probabilmente perché durante un quaresimale tenuto nel castello di Moncalieri aveva usato parole molto franche parlando dell’adulterio del re Erode Antipa e questo non era piaciuto alla corte, anche perché era noto lo stile di vita poco morigerato di re Vittorio Emanuele II. Il sovrano peraltro, nell’udienza di congedo, gli disse. «Grazie. Lei mi ha sempre detto la verità».

Ma nemmeno a don Federico la carica di cappellano stava particolarmente a cuore, perché nel periodo trascorso nella parrocchia di S. Carlo aveva cominciato a scendere fra la gente del popolo, ad aiutare i poveri e gli orfani, a visitare i malati in ospedale e a domicilio, ad assistere i detenuti. Probabilmente a causa di questa sua generosa dedizione fu nominato Vicario di Lanzo Torinese, allora una parrocchia di montagna, popolosa e disagevole, che richiedeva molto spirito di sacrificio. All’ingresso della canonica egli fece collocare questa scritta: “Il buon pastore dà la vita per le pecorelle».

Cominciò col restaurare la chiesa parrocchiale, allungandola di una decina di metri dietro il coro. Alla domenica, dopo la messa, egli invitava i fedeli a seguirlo processionalmente, fino al greto del torrente Stura per portare ciascuno una pietra che servisse come materiale di costruzione. La gente fu subito conquistata dal suo stile di vita: don Federico si alzava prestissimo (non dormiva più di quattro ore la notte) e scendeva in chiesa a pregare e a fare adorazione, poi si metteva presso il confessionale e prima della Messa faceva recitare il Rosario. Fece notizia anche la sua carità: dava tutto ai poveri e ogni giorno visitava i malati all’ospedale o a domicilio, gli anziani soli e le famiglie dove c’erano degli orfani.
Organizzò il catechismo per gli adulti e per i bambini; se scoppiavano in paese delle liti, la gente preferiva ricorrere a lui anziché al pretore perché con la sua parola equilibrata e paterna riusciva a riportare la pace. Nel 1858 aprì l’asilo infantile e più tardi un orfanotrofio, inoltre con l’aiuto di alcune signorine avviò le ragazze più povere a imparare un mestiere, come tessitrici o ricamatrici. Il suo dinamismo non conosceva soste: così nel 1866 diede vita a un educandato per giovani di civile condizione, che affidò alle Suore della Carità, e ottenne che il Comune cedesse a Don Bosco un ex convento di cappuccini, che il santo trasformò in un collegio salesiano e in casa per esercizi spirituali.

Lì don Albert si recava spesso per predicare e per confessare. Più tardi egli realizzerà anche l’oratorio festivo e una colonia agricola per giovani disoccupati. Purtroppo nel 1868 le Suore di Carità si ritirarono dal paese e il parroco, per assicurare continuità alle sue istituzioni, dopo essersi consigliato con padre Anglesio, successore del Cottolengo a Torino, fondò l’anno dopo le Suore Vincenzine dell’Immacolata Concezione con l’aiuto di alcune giovani che dirigevano l’orfanotrofio. Il 14 ottobre 1869 le prime cinque candidate vestirono l’abito religioso. Ad esse il fondatore raccomandava soprattutto le virtù della carità e dell’umiltà e una speciale devozione alla Vergine, da lui venerata sotto il titolo di “Mater amabilis”, e a S. Giuseppe.

E nel 1870, nella chiesa parrocchiale, fece costruire un altare dedicato al S. Cuore di Maria e istituì l’Associazione del S. Cuore di Maria: inoltre, nel cortile dell’Istituto fece collocare una statua di S. Giuseppe, da lui chiamato «il padrone di casa». La sua fama di predicatore dotato di una parola affascinante, semplice e persuasiva, lo vedeva impegnato periodicamente nelle missioni al popolo e lui, prima di iniziarle, faceva nove giorni di digiuno, e altri otto dopo che erano concluse per assicurarne i frutti spirituali. Nel 1873 gli fu proposto l’episcopato di Pinerolo, ma temendo che questo potesse compromettere le sue opere, ottenne da Pio IX di potervi rinunciare. Gli giunse in quel tempo anche un importante riconoscimento da parte dell’autorità civile: la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia.

L’epilogo inatteso di questa straordinaria vita sopravvenne il 28 settembre 1876 quando don Albert, mentre stava aiutando un operaio che lavorava nella cappella dedicata a S. Giuseppe, mise un piede in fallo cadendo da un’altezza di sette metri e riportando la frattura della base cranica e dell’osso parietale. Al suo capezzale giunsero Don Bosco e don Rua, che si trovavano nel collegio di Lanzo pper un corso di esercizi spirituali. Don Albert spirò il 30 settembre a soli 56 anni, lasciando Mons. Gastaldi “erede fiduciario” delle sue opere. Aveva disposto che sulla sua tomba – nella chiesa parrocchiale di Lanzo - fossero incise queste parole: «Pregate! Pregate!». La perdurante fama di santità condusse all’apertura del processo canonico e Giovanni Paolo II beatificò don Federico il 30 settembre 1984. Angelo Montonati

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