San Giuseppe Benedetto Cottolengo

Una vita dedicata alla cura dei malati

19/10/2012

Questo grande santo della carità nacque a Bra, nel Cuneese, il 3 maggio 1786 da una famiglia di solida tradizione cristiana, primogenito di dodici figli dei quali, oltre a Giuseppe, altri due si fecero sacerdoti: Luigi nel clero diocesano e Alberto tra i Domenicani. Fin da piccolo, grazie anche agli esempi della madre sempre generosa verso i poveri e gli ammalati, pensava di dedicasi alla cura degli infermi.

Deciso a farsi sacerdote, cominciò gli studi con scarso rendimento, poi in seguito a una novena a san Tommaso d’Aquino del quale sarebbe stato particolarmente devoto per tutta la vita, superò le difficoltà ottenendo esiti brillanti. Nel 1802 vestì la talare, ma dovette continuare i corsi di filosofia e teologia restando in famiglia perché i seminari erano chiusi a causa degli eventi politici del tempo; poté rientrarvi soltanto nel 1805 ad Asti, alla cui diocesi era stata assegnata Bra nel riordinamento deciso dal governo francese.

Ricevuta l’ordinazione l’8 giugno 1811, Giuseppe svolse inizialmente il suo ministero a Bra e quindi, come vice parroco, a Corneliano d’Alba; poi, consigliato da alcuni sacerdoti amici, si recò a Torino dove conseguì la laurea in teologia presso quella università, e nel 1818 fu nominato canonico della chiesa del Corpus Domini, eretta a ricordo del miracolo eucaristico del 1453. Qui si dedicò con zelo alla predicazione e alle confessioni, nonché all’aiuto dei poveri per i quali, oltre a ricorrere alla carità di persone generose, si privava di quanto possedeva, stimolato in questo dalla meditazione sulla vita di san Vincenzo de Paoli.

Ed ecco nel settembre 1827 l’evento che avrebbe dato una svolta decisiva al suo apostolato: era giunta a Torino da Milano, mentre era in viaggio per Lione, una famiglia composta dai genitori e da tre bambini: ammalatasi gravemente la madre, Giovanna Maria Gonnet, non fu accolta nell’ospedale cittadino perché incinta e neppure nella maternità perché affetta da tubercolosi, ma portata in una stanza messa a disposizione dal Comune per gli infermi trovati dalle guardie sulla strada. Il “canonico buono”, come ormai veniva chiamato dalla gente, l’assistette durante l’agonia, cercando di consolare il marito e i tre figlioletti. Tornato alla sua chiesa, fece accendere un lumino all’altare della Madonna e, convocati alcuni fedeli col tocco della campana, cantò le litanie lauretane, ripetendo poi: «La grazia è fatta, benedetta la Madonna».

Egli aveva intuito che era necessario aprire un ricovero per i malati rifiutati da tutti; per questo affittò due stanze nella casa detta della “Volta Rossa”, di fronte alla basilica del Corpus Domini, accogliendovi i primi infermi; poi ne affittò altre, ottenendo la collaborazione di una giovane vedova, Maria Nasi Pullini, formando un gruppo di ragazze disposte a servire i bisognosi, le quali costituirono il primo nucleo delle suore Vincenzine che, accanto ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, ne professano un quarto, quello di assistere i malati.

Scoppiata in Piemonte l’epidemia del colera, gli abitanti delle case vicine per paura del contagio ottennero che lo stabile fosse chiuso e il Cottolengo, fiducioso nell’aiuto del Signore, affittò uno stabile nella zona di Valdocco trasportandovi, su un carretto tirato da un asino, un giovane colpito da cancrena: era il 27 aprile 1832, un sabato. In pochi mesi fu necessario acquistare un secondo stabile: cominciava così l’opera che il santo intitolò “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, che nel corso di un decennio venne ampliata con nuove sezioni (da lui definite “famiglie”) destinate a malati acuti e cronici, bambini orfani, invalidi (mutilati, paralitici, rachitici), vecchi inabili, sordomuti, non vedenti, epilettici, scrofolosi, cerebrolesi (che lui chiamava “buoni figli” e “buone figlie”). In più c’era una scuola materna e primaria per bambini poveri e col tempo venne costruita anche una chiesa.

Per reperire i mezzi necessari al mantenimento di queste opere, il fondatore faceva affidamento unicamente sulla Provvidenza, la quale rispondeva con grande munificenza, anche se non mancarono  momenti difficili quando in cucina non c’era più pane, mancavano i soldi per la spesa e i creditori incalzavano: il santo invitava a pregare e arrivavano subito le derrate alimentari o un ignoto benefattore che saldava i debiti. Le cronache parlano di veri e propri miracoli verificatisi più volte in circostanze particolarmente critiche, davanti alle quali il santo, favorito da carismi soprannaturali, reagiva incoraggiando i suoi così: «Non disperate perché la Provvidenza arriva, arriva, statene certi». E ad un medico che per primo lo aveva aiutato, disse: «Si ricordi che i poveri sono e saranno quelli che le apriranno le porte del Paradiso: quindi carità, sempre carità e sempre carità».

Re Carlo Alberto nel 1833 concesse il riconoscimento legale alla “Piccola Casa” e nello stesso anno nominò il canonico Cottolengo cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro. Più tardi al santo fu conferita la medaglia d’oro della società Motnyon e Franklin, che allora aveva un valore simile ai premi Nobel odierni. Anche Camillo Cavour ne aveva grande stima:: «È un uomo semplice», diceva di lui, «ha fondato un’opera mirabile sostenuta da un sol uomo che altro non possiede al mondo che gli inesauribili tesori di un’immensa carità. Egli confida nella Provvidenza e questa non gli manca mai… un uomo prodigioso».

Poiché il santo mirava anche alla cura spirituale dei malati, nacquero i Preti della SS.ma Trinità, i Fratelli di San Vincenzo per l’assistenza agli uomini, il piccolo seminario dei Tommasini (aspiranti al sacerdozio) e diverse comunità femminili (le suore della Divina Pastora, le Carmelitane Scalze, le Suore dei Suffragio, le Penitenti di S. Taide e le Suore della Pietà), unificate oggi in una grande famiglia di religiose, divisa in vari rami con determinate finalità. Nella vita della “Piccola Casa” un posto centrale avevano i Sacramenti e la preghiera: «Non lasciate mai», ripeteva a tutti sovente, «a qualunque costo la comunione quotidiana! Ciò che tiene in piedi la Piccola Casa sono le preghiere e la comunione».

Nel febbraio 1842, prevedendo la sua prossima fine, il santo regolò gli affari più urgenti, visitò le case che aveva fondato chiedendo a tutti: «Pregate per me, che sono alla fine dei miei giorni». Il 21 aprile affidò al canonico Luigi Anglesio la direzione delle sue opere e si ritirò in casa del fratello canonico della collegiata di Chieri, dove morì il 30 aprile. Carlo Alberto, nell’apprendere la notizia, esclamò: «Ho perduto un grande amico».

Beatificato da Benedetto XV nel 1917, Giuseppe Benedetto Cottolengo fu canonizzato il 19 marzo 1933 da Pio XI, che lo definì «un genio del bene».

 

Angelo Montonati
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