San Leonardo Murialdo

26/07/2012

Leonardo Murialdo, l’apostolo della gioventù operaia e del movimento sociale cattolico, è un’altra grande figura della santità piemontese fiorita nell’Ottocento accanto al Cottolengo, al Cafasso, ai marchesi Giulia e Carlo Tancredi di Barolo, a Don Bosco e alla Mazzarello, al Faà Di Bruno, all’Allamano e a Giuseppe Marello, per citare i nomi più noti. Nato a Torino il 26 ottobre 1828 da una famiglia di ricchi banchieri, studiò presso gli Scolopi a Savona e successivamente si laureò in teologia alla Regia Università di Torino. Ordinato sacerdote nel 1851, si impegnò subito nel suo ministero, in modo particolare nella predicazione, nelle confessioni, nell’insegnamento catechistico e nell’assistenza ai giovani detenuti nelle carceri minorili. Per amicizia con Don Bosco, che aveva di lui grande stima, nel 1857 accettò di dirigere l’Oratorio di San Luigi, fondato dal santo alla periferia della città.

Torino a quei tempi vide una intensa crescita demografica a causa della nascente industrializzazione che attirava in città mano d’opera dalle campagne; nel clima di anticlericalismo fomentato dalle classi dirigenti di ispirazione liberal-massonica, il Murialdo si rese conto che l’esperienza dei laboratori artigiani o delle fabbriche portava spesso i giovani operai ad abbandonare la fede. Per questo, nel 1865 lanciò il progetto di una Unione di operai cattolici. In quello stesso anno volle entrare, pur essendo già sacerdote e laureato, nel seminario di San Sulpizio a Parigi, dove la sua vita interiore fu fortemente influenzata da maestri di spiritualità come il fondatore, il Servo di Dio Gian Giacomo Olier, e il rettore padre Enrico Icard, nonché dai contatti con importanti esponenti del cattolicesimo francese tra cui il Mermillod, il De Melun e l’Ozanam, dai quali ricevette importanti stimoli per le sue iniziative sociali. Tornato in patria, nel novembre 1866 gli fu chiesto di assumere la direzione del Collegio degli “Artigianelli” fondato a Torino da don Giovanni Cocchi per ragazzi poveri e abbandonati che andavano a bottega presso piccole aziende artigiane: una istituzione che, pur avendo guadagnato consensi anche in ambienti laici, versava in una difficile situazione economica. Il santo accettò l’incarico “provvisoriamente”, ma lo avrebbe onorato per ben trentaquattro anni fino alla morte! Per mantenere quei giovani che non avevano famiglia arrivò a mendicare aiuti, fidando sempre nella Provvidenza, fedele al motto programmatico di don Cocchi: “Fare e tacere”.

Il santo riusciva ad abbinare con equilibrio lo studio e il lavoro, ritenuti entrambi indispensabili per una completa educazione dei giovani i quali, dopo aver raggiunto la formazione di base e il diploma elementare, a seconda delle inclinazioni e delle attitudini personali potevano scegliere una specializzazione in campo agricolo (da conseguirsi nella Colonia di Bruere) o in campo artigianal-industriale orientandosi tra quattordici diversi mestieri. A questo punto, per garantire consistenza e durata al suo progetto, il Murialdo il 19 marzo 1873 diede vita alla Pia Società Torinese di San Giuseppe (patrono e modello degli operai) che si diffuse prima nel Veneto e poi in tutta Italia e, con le missioni, in America. La sua strategia pedagogica ricalcava le orme dei grandi educatori: «Se volete far del bene ai giovani», diceva ai suoi religiosi, «usate con loro una pazienza eroica; siate amabili come san Filippo Neri e dolci come san Francesco di Sales… Nei nostri uffici e contatti di educazione e di assistenza dei giovani occorre cercare di ottenere tutto con le buone maniere, fino agli estremi limiti del possibile». Il suo contemporaneo Don Bosco non la pensava diversamente.

Inoltre, per sostenere i giovani nell’impatto col mondo del lavoro e consolidarne la formazione religiosa e culturale, egli costituì la Casa-famiglia presso la chiesa di Santa Giulia, fatta sorgere dalla Marchesa Giulia Colbert di Barolo nel popolare quartiere di Vanchiglia. Nel 1871 aveva finalmente concretato il suo sogno, realizzando l’Unione degli Operai Cattolici, che faceva da contraltare alle analoghe organizzazioni laiche controllate da ambienti anticlericali e socialisti. Ad essa poi si sarebbero affiancate la Cassa di Mutuo Soccorso, il Collocamento Operai, la Cassa Pensioni e Previdenza per anziani inabili e infortunati sul lavoro, i Magazzini Alimentari, la Cassa per gli Onori Funebri, le scuole serali e festive, il “Giardino Festivo” (sorta di “dopolavoro domenicale” dotato di cappella, bar e giochi di società), e una Biblioteca Circolante. E poiché conosceva bene la legislazione europea riguardante il lavoro, il santo inviò diverse petizioni al Governo per favorire una regolamentazione della manodopera minorile che escludesse totalmente il lavoro notturno e limitasse quello diurno adeguandolo alle capacità fisiche dei ragazzi. Infine, fu ancora lui a ispirare la nascita del primo Segretariato del Popolo di Torino, per favorire la ricerca di un’occupazione e per garantire la tutela legale, la consulenza e l’aiuto nei casi difficili. Le Unioni si diffusero rapidamente in Piemonte e Liguria e il Murialdo, in qualità di loro rappresentante, prese parte a sei importanti congressi internazionali promossi in Francia dalla Union des Oeuvres ouvrières catholiques e mantenne stretti rapporti con le analoghe organizzazioni cattoliche della Svizzera e della Germania.

All’interno dell’Opera dei Congressi, oltre a tener desta l’attenzione sulla questione operaia, egli promosse a Torino la costituzione della Associazione della Buona Stampa. Nel 1876 aveva fondato il “Bollettino delle Unioni” che nel 1883 avrebbe assunto il titolo di “La Voce dell’Operaio” e, nel 1933, quello di “La Voce del Popolo”, che è tuttora il settimanale diocesano di Torino. Nel 1896 egli si attivò per dare vita al Circolo Popolare di Studi Sociali e di un giornale che, dalla denominazione stessa del movimento, si chiamò “La Democrazia Cristiana”.
Benché operato da molteplici impegni, il santo non toglieva spazio alla sua vita interiore: tutti rimanevano colpiti nel vederlo pregare o celebrare la Messa. L’ufficio divino lo recitava in chiesa, in ginocchio, e talora protraeva le sue meditazioni vicino al tabernacolo per tutta la notte. I suoi tre grandi amori erano il Sacro Cuore di Gesù, la Madonna (nel santuario torinese della Consolata prese le grandi decisioni della sua vita) e san Giuseppe. Indiscusso il suo attaccamento alla Santa Sede, da cui ricevette, in ripetute udienze con Pio IX e Leone XIII, approvazioni e incoraggiamenti.

Guarito da malattia mortale per la benedizione dell’amico Don Bosco, sopportò negli ultimi anni alterne ricadute senza venir meno con continui viaggi alla sua missione di fondatore. Moribondo, volle scendere da letto per scrivere un’ultima lettera a favore di un suo ex-artigianello. Morì il 30 marzo 1900. Beatificato da Paolo VI nel 1963 e da lui canonizzato il 3 maggio 1970. Sul suo sepolcro. Nella chiesa di S, barbara a Torino, sono impressi questi due motti: “Facciamo e tacciamo” e “Chi si umilia sarà esaltato”.

Angelo Montonati
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