Sant'Antonio Maria Zaccaria

15/10/2011

Il fondatore dei Barnabiti nacque a Cremona nella prima quindicina di dicembre 1502; nel febbraio successivo gli morì il padre e crebbe sotto la vigile guida della giovanissima madre (era appena diciottenne quando le morì il marito) che, pur essendo ricca rinunciò a risposarsi per educare il figlio, trovando nella fede la forza per andare avanti. Dopo i primi studi in patria, sui sedici anni Antonio Maria iniziò gli studi di filosofia a Pavia, probabilmente in compagnia della madre che lì aveva dei parenti, e qui maturò la sua decisione di dedicarsi alla medicina, professione di prestigio in grado di tenere alto il nome della sua nobile famiglia; per questo nel 1520 si iscrisse all’università di Padova, polo culturale tra i più celebri d’Europa, e si laureò dopo quattro anni. Intanto però l’impegno di vita cristiana, già ben chiaro a Cremona sotto la guida della madre, si era rafforzato nell’esercizio ascetico: costituiva un’eccezione nell’ambiente goliardico questo studente un po’ anomalo, riservato e schivo, che preferiva la penombra delle chiese alle allegre riunioni, frequentava i sacramenti con assiduità e vedeva nel futuro esercizio della medicina un modo per esercitare la carità assistendo i poveri. Tornato a Cremona, il neodottore cominciò a esercitare la professione sotto la guida di medici anziani e collaudati: curava gli infermi, soprattutto i più poveri a cui nessuno pensava, negli ospedali e anche a domicilio con un’attenzione che gli guadagnò presto la stima e l’ammirazione della gente.

Col passare dei mesi, egli si rese conto che molti suoi pazienti avevano bisogno di rimettere in sesto l’anima più che il corpo e per uno come lui, che si alimentava quotidianamente a contatto col Signore frequentando i sacramenti e meditando la parola di Dio, era naturale cercare di riportare alla fede chi ne era lontano. Cominciò a chiedersi se non fosse questa la sua vera missione e si rivolse per un consiglio a un certo fra Marcello, domenicano ben noto nella zona per il carisma del discernimento, il quale gli suggerì di farsi sacerdote. Antonio abbandonò la professione dandosi a una più intensa vita spirituale e all’apostolato diretto, tenendo al popolo lezioni di catechismo nella chiesetta di S. Vitale presso palazzo Zaccaria, e intanto studiava teologia. Alla morte di fra Marcello, egli si affidò alla direzione spirituale di un altro domenicano, fra Battista Carioni da Crema, che avrà un ruolo decisivo nel suo futuro.

Il 20 febbraio 1529, Antonio Maria fu ordinato sacerdote e durante la sua prima messa accadde un prodigio: alla elevazione dell’ostia uno stuolo di figure angeliche fu visto comparire attorno al celebrante dai numerosi fedeli che gremivano la chiesa. L’episodio fu confermato da numerosi testimoni oculari e poi riportato dai primi biografi del santo. Questi si immerse totalmente nel ministero pastorale, facendosi apprezzare come confessore e come predicatore, supplendo alla carenza di clero con una intensa presenza personale, facendosi tutto a tutti, e dando vita a gruppi spirituali di laici qualificati per la riforma dei costumi. L’anno dopo accettò l’incarico di cappellano della contessa di Guastalla, Ludovica Torelli, e con lei si recò a Milano. Qui entrò in contatto con l’oratorio dell’Eterna Sapienza presso le agostiniane di Santa Marta, e seppe ridestarvi il fervore che si era andato smorzando dopo la morte della priora del monastero, madre Angela Panigarola, e del fondatore, l’agostiniano mons. Antonio Bellotti. Ben presto ne divenne il capo morale e l’antica confraternita, sotto la sua spinta, si strutturò in tre nuove famiglie religiose che egli volle dedicate a S. Paolo, sia per la grande devozione che nutriva verso l’Apostolo delle genti, nel quale aveva scoperto non comuni consonanze sul piano del carattere, sia per sottolineare lo spirito paolino che doveva animare i nuovi riformatori: i Figlioli di San Paolo, chiamati poi Chierici Regolari di San Paolo Decollato (ma volgarmente Barnabiti dal nome della loro prima chiesa), che furono approvati da Clemente VII il 18 febbraio1533; le Angeliche di San Paolo Converso, approvate da Paolo III il 15 gennaio 1535, e i Maritati devoti di San Paolo, laici che, pur vincolati al matrimonio, collaboravano con il santo nella riforma, il cui progetto doveva coinvolgere tutta la Chiesa, dal clero al popolo, dal vertice alla base. Questi gruppi dovevano rappresentare l’altra faccia dei cristiani in un’epoca in cui a Milano pochi erano i sacerdoti dediti alla loro missione, al punto che correva il proverbio: «Se vuoi andare all’inferno, fatti prete».

Per scuotere l’opinione pubblica, lo Zaccaria inviò i Figlioli e le Angeliche a compiere drastiche mortificazioni per le vie della città, convinto che il mostrare senza alcuna esitazione una vita penitente fosse più efficace dell’insegnamento teorico. Ma mentre il popolo ne fu santamente scosso, si scatenò violenta la reazione del clero e dei cosiddetti benpensanti: il santo con i suoi seguaci, accusato presso la Curia Romana di eresia per le sue idee innovatrici, dovette subire ben due processi, nel 1534-35 e nel 1537, dai quali però uscì pienamente assolto. Da allora intensificò le opere apostoliche come l’esposizione eucaristica, solenne e pubblica, delle Quarantore; il suono della campana alle 15 di ogni venerdì per ricordare ai fedeli l’ora in cui morì Gesù; la distribuzione organizzata della parola di Dio sia nelle chiese, sia nei crocicchi delle strade, sia durante le quotidiane conferenze spirituali; l’apostolato della direzione spirituale e della comunione frequente (per le Angeliche, cosa impensabile a quei tempi, essa era quotidiana); le Missioni popolari permanenti, cominciate a Vicenza nel 1537, e la riforma dei monasteri. Con le Angeliche, tra l’altro, nasceva il primo ordine religioso non vincolato alla clausura e votato all’apostolato diretto.

Stroncato dalle fatiche del suo ministero, mentre si recava in missione pacificatrice a Guastalla, colpita da interdetto pontificio, si ammalò e si fece portare a Cremona, desiderando morire avendo accanto sua madre, e là si spense il 5 luglio 1539, non ancora trentasettenne, nonostante che per lui fossero stati mobilitati i migliori medici della città. Pochi giorni prima, dal 10 al 20 giugno, aveva steso tre lunghe lettere, destinate a ciascuna delle sue tre famiglie religiose, che sono il suo testamento spirituale. Dopo i funerali, di lui parlò la gente. Ognuno diceva la sua: c’era, tra la folla, chi lo aveva conosciuto da ragazzo; c’erano alcuni pazienti che erano stati curati da lui quando esercitava la professione medica; c’erano quelli che avevano ritrovato la via della fede grazie alla sua predicazione o confessandosi da lui; tutti in certo modo gli erano debitori di qualcosa, parlando di lui come un santo. La causa di canonizzazione tuttavia, per una serie di ragioni di varia natura tra cui anche l’esplodere della peste, fu introdotta solo nel 1806 e portò al decreto sulla eroicità delle virtù nel 1849, alla reintegrazione del culto (che era stato sospeso da Urbano VIII nel 1634 insieme al titolo di beato) nel 1890 e alla canonizzazione il 27 maggio 1897. «La figura di questo santo», ha scritto l’allora cardinale Ratzinger nella prefazione a una biografia dello Zaccaria, «mi è cara perché è una delle grandi personalità della riforma cattolica del Cinquecento, impegnato nel rinnovamento della vita cristiana in un’epoca di profonda crisi nel campo della fede e dei costumi».

Angelo Montonati
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