09/02/2011
Perché la Chiesa è così intransigente verso qualunque forma di aborto? Non pensa che talora è l’unica soluzione per uscire da una situazione difficile e complessa? Qualche volta la vittima più sofferente è proprio la donna che chiede di abortire. Perché infierire ancora su di lei con una condanna?
Laura B. - Torino
Credo che sull’aborto sia stato detto tutto, e ognuno abbia continuato a mantenere la sua posizione. Possiamo però cercare di ricordare alcune verità che possono forse aiutare a riflettere ancora una volta. Intorno all’aborto nascono tre grandi interrogativi.
Il primo: cos’è l’aborto? Non si può discutere se prima non si è d’accordo sul significato dei termini che usiamo. Possiamo essere d’accordo che l’aborto è la soppressione di un essere vivente e vitale. Vivente, perché le cellule che formano lo zigote e l’embrione sono realtà vive, e vitale perché sono animate da una energia viva, aperta a un ulteriore sviluppo.
Ma si può affermare che appartiene all’umano? Certamente, perché il suo Dna è specificamente umano, distinto da ogni altro Dna. Si può dire che è una persona umana, per cui la sua soppressione è la soppressione di una persona? Qui i pareri si diversificano. Alcuni sostengono che è già un essere umano, altri che è semplicemente un progetto di uomo. E c’è una bella differenza tra la distruzione di un progetto (anche se è sempre spiacevole, specialmente se è un progetto importante), e la realtà rappresentata dal progetto. Una cosa è distruggere il progetto di un palazzo, altra cosa è distruggere un palazzo.
Qui si equivoca sul termine progetto. Se io lascio il progetto di un palazzo nel cassetto di un architetto, dopo nove mesi non trovo un palazzo, ma continuo a trovare delle linee sulla carta e null’altro. Ma se io lascio la realtà concepita nel seno della madre e non intervengo per distruggerla, dopo nove mesi trovo un bambino vivente con una grande voglia di vivere.
Per questo devo concludere che l’aborto distrugge non solo la realtà che in quel momento esiste, ma distrugge anche il potenziale di vita che già esiste in quella realtà e che la muove a essere prima un embrione, poi un feto, poi un nato, poi un bimbo, poi un adolescente, poi un uomo maturo che a sua volta è capace di iniziare e portare a termine delle vite umane.
C’è un secondo problema. Cosa produce nella vita della madre? La risposta non è semplice, perché dipende dalla sensibilità umana della madre stessa e dalle circostanze che sta vivendo. Troviamo donne che usano l’aborto come un contraccettivo e non sembra che soffrano né psicologicamente, né moralmente. Altre invece decidono di abortire, premute da difficoltà che ritengono insormontabili, ma soffrono questa decisione. Atre ancora sono incerte e cercano un appoggio e la forza per non arrivare all’aborto. Per questo l’aiuto che si può dare alle donne incinte con i ragionamenti e con gli interventi concreti sono talora determinanti per la decisione che esse prendono.
Poi c’è un terzo problema: la reazione della società di fronte all’aborto. Sembra logico pensare che la società debba difendere quelli che non hanno voce per difendersi, e che debba seguire il principio di precauzione, il quale afferma che in caso di dubbio è doveroso astenersi dall’azione della quale si dubita che possa essere dannosa.
La società italiana e tante altre società danno invece la possibilità di abortire in casi precisati dalla legge. Il fatto che la legge tolleri o autorizzi l’aborto non significa che l’aborto non sia un male; significa solo che lo Stato non lo punisce o addirittura lo autorizza per evitare mali peggiori.
Però, il fatto che la donna non lo avverta come un male o al contrario lo soffra come una sciagura, come pure il fatto che la società lo tolleri o lo autorizzi con una legge, non toglie all’aborto la sua verità: la soppressione di un essere umano vivente al quale si impedisce di vivere e di svilupparsi nella linea di quello che è, fino a diventare una persona umana adulta. Il lecito legale non coincide con il lecito morale. Il fatto di non sentire un fatto come male o di non proibirlo, non significa che il fatto non esista.
Giordano Muraro