San Paolo e le donne (quinta puntata)

30/08/2010

Ho seguito le celebrazioni sull’Anno paolino, conclusosi senza che nessuno accennasse alle tante affermazioni misogine di san Paolo. Se penso a lui non mi vengono in mente la caduta da cavallo, l’inno alla carità e la missionarietà, ma la sua conclamata disistima per le donne.
Giusi C. – e-mail

Febe: sorella nella fede, diacono e patrona
    Per quanto riguarda Febe, ci fermiamo ad analizzare il testo (Rm 16,1-2) più da vicino:
Vi raccomando Febe nostra sorella, che è anche diacono della Chiesa che è a Cencre, affinché la accogliate nel Signore in maniera degna dei santi e l’assistiate nelle cose di cui può aver bisogno. Poiché anche lei è stata patrona di molti e anche di me stesso.
    Paolo inizia la sezione finale della lettera ai Romani raccomandando Febe a quella comunità. Si tratta di una donna di Cencre – una delle due località portuali presso Corinto – e il fatto che viene nominata per prima fa ritenere che fosse lei l’incaricata di recapitare la lettera stessa. In realtà non conosciamo il motivo del suo viaggio a Roma; alcuni commentatori suppongono che abbia avuto da sistemare alcuni affari legati al suo lavoro.
    Il verbo greco tipicamente paolino synìstemi (“raccomandare, dimostrare, consistere”) è usato anche altrove per presentare e raccomandare un amico a un altro.
    Le credenziali di questa donna presentata da Paolo contengono tre titoli: “sorella”, “diacono”, “patrona”.
    Per quanto riguarda il primo, mentre il maschile “fratello”, quale appellativo di membri della stesso gruppo religioso, non è una caratteristica specifica cristiana, sembra invece che lo sia l’uso di ‘sorella’. Inoltre, il pronome possessivo “nostra” è un’attestazione del fatto che era già comune il concetto di comunione e quindi di universalismo tra membri di Chiese sparse nelle varie parti del mondo.
    Febe è un diacono della Chiesa di Cencre. Questo secondo titolo è stato oggetto di molte discussioni. Innanzitutto si tratta di un sostantivo che serve invariato sia al maschile che al femminile (perciò non è pienamente corretto tradurlo con “diaconessa”, come fanno alcune Bibbie); inoltre occorre evitare l’anacronismo di attribuire a questo termine il significato che “diacono” o “diaconessa” assumerà nei secoli successivi.
    Nel nostro caso non è nemmeno sufficiente pensare a un generico “servizio” (si sarebbe probabilmente usato il verbo diakoneo, come in Rm 15,25; o le si sarebbe attribuita una generica diakonìa, come in 1Cor 16,15), invece bisogna tener presente che con questo termine Paolo solitamente designa sé stesso o i suoi collaboratori nell’esercizio del ministero apostolico (cf. 1Cor 3,5; 2Cor 3,1-11; Fil 1,1; Rm 15,8: Cristo diacono dei circoncisi); e come per quelle ricorrenze si traduce nella maggior parte dei casi con “ministro” – a cui è legato un ruolo di responsabilità e autorità nella Chiesa – anche qui coerentemente andrebbe tradotto e compreso allo stesso modo.
    Naturalmente occorre tener presente che a quel tempo il ruolo e i compiti di tipo ministeriale-gerarchico abbinati ai singoli titoli sono in piena evoluzione e non hanno ancora raggiunto una sufficiente comune comprensione; quindi anche la portata di quel ministero designato attraverso la connotazione di diacono, in ogni caso dipendeva dai contesti locali e dalle necessità delle singole Chiese.
    Comunque sia, Febe rimane la prima donna diacono di cui si viene a conoscenza nella storia del cristianesimo.
    L’ultimo titolo, che abbiamo tradotto con ‘patrona’ indica senz’altro il ruolo di guida e presidenza (cf. Rm 12,8; 1Ts 5,12). Nel nostro caso bisogna intendere il senso di “donna posta sopra altri”, e in traduzione più moderna, potrebbe essere reso con “presidente”.
    Ora il fatto che Paolo affermi che Febe è stata patrona di molti e anche di lui stesso, lascia supporre che ella fosse benestante e altolocata socialmente. Probabilmente la sua casa era adatta a ospitare la comunità cristiana di Cencre, della quale in quanto diacono era anche una leader. Inoltre nella sua generosità non mancava di offrire ospitalità e protezione ai missionari itineranti, come Paolo e collaboratori.
    Ciò che Paolo chiede dunque ai romani in termini di accoglienza e assistenza nei riguardi di Febe (16,2: «che l’accogliate nel Signore in maniera degna dei santi e l’assistiate nelle cose di cui può aver bisogno») in qualche modo deve riflettere ciò che anche lei ha fatto nei confronti di fratelli e sorelle in Cristo, sia quelli appartenenti a quella comunità locale, che quelli di fuori che si trovavano a passare nella sua casa.
    Insomma, i romani, nel ricevere e leggere la lettera di Paolo a loro destinata, si trovavano in presenza di una donna (probabilmente latrice dello scritto) di grande prestigio umano e cristiano, sorella nella fede, ministro della sua comunità di Cencre, benefattrice generosa e patrona per chiunque dei fratelli si fosse trovato a passare nella sua casa.
                                                                                                     (5 - continua)

Giuseppe Pulcinelli
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