San Paolo e le donne (sesta e ultima puntata)

10/09/2010

Ho seguito le celebrazioni sull’Anno paolino, conclusosi senza che nessuno accennasse alle tante affermazioni misogine di san Paolo. Se penso a lui non mi vengono in mente la caduta da cavallo, l’inno alla carità e la missionarietà, ma la sua conclamata disistima per le donne.
Giusi C. – e-mail


Conclusione

Da questa breve indagine si può trarre un quadro per il quale è praticamente impossibile tacciare Paolo di misoginia o di discriminazione nei confronti della donna. I dati che riguardano la presenza e il ruolo delle donne nella Chiesa delle origini, pur non essendo molto abbondanti, costituiscono una chiara attestazione dell’applicazione del principio fondamentale di uguaglianza nella dignità e nella responsabilità missionaria; questo lo si deduce non soltanto dalle affermazioni sulle donne che si trovano sparse in alcuni suoi scritti, ma soprattutto dalla sua prassi, così come emerge sia dalle lettere che dagli Atti degli Apostoli.

    Rispetto all’ambiente e alle varie culture a lui contemporanee (greco-romana e giudaica) su questo punto Paolo non va annoverato tra i con- servatori, ma tra gli innovatori coraggiosi: senza rischio di esagerare si può considerare Paolo il più grande araldo della nuova legge di libertà costituita dal Vangelo di Gesù Cristo, in cui è iscritto anche il paragrafo importante del pieno riconoscimento dei diritti alla donna, nella società e nella Chiesa.

    Un’interpretazione fondata sul pregiudizio di una mentalità maschilista e incapace di cogliere la portata liberatrice della parola di Dio – e reiterata nel corso dei secoli – ha spinto tanti cristiani autorevoli a discriminare la donna nella famiglia e nella Chiesa, causando direttamente la sua marginalizzazione nella società di matrice cristiana.

    Fortunatamente il magistero autorevole ha iniziato a riconoscere questa responsabilità, facendone ammenda, e invitando tutta la Chiesa a cambiare mentalità: «Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. Ma se in questo non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa, me ne dispiaccio sinceramente. Tale rammarico si traduca per tutta la Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all’ispirazione evangelica, che proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di dominio, ha un messaggio di perenne attualità, sgorgante dal- l’atteggiamento stesso di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995).

    Già nella Mulieris dignitatem (1988) Giovanni Paolo II aveva coraggiosamente “corretto” un’interpretazione androcentrica e discriminatoria della Genesi e delle lettere paoline (cf. MD 9.24). Sulla missione profetica e di predicazione del vangelo, cui le donne partecipano alla pari con gli uomini, cf. Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, Giovedì Santo 1995 (25 marzo 1995, punto 6).

    L'invito appassionato a cambiare mentalità emerge soprattutto da queste parole del Papa: «Faccio oggi appello all’intera comunità ecclesiale, perché voglia favorire in ogni modo, nella sua vita interna, la partecipazione femminile... le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle consultazioni e nell’elaborazione delle decisioni. È questa la strada che va percorsa con coraggio. In gran parte si tratta di valorizzare pienamente gli ampi spazi che la legge della Chiesa riconosce alla presenza laicale e femminile: penso ad esempio alla docenza teologica, alle forme consentite di ministerialità liturgica, compreso il servizio all’altare, ai consigli pastorali e amministrativi, ai sinodi diocesani e ai concili particolari, alle varie istituzioni ecclesiali, alle curie e ai tribunali ecclesiastici, a tante attività pastorali fino alle nuove forme di partecipazione nella cura delle parrocchie, in casi di penuria del clero, salvo compiti propriamente sacerdotali. Chi può immaginare quali grandi vantaggi verranno alla pastorale, quale nuova bellezza assumerà il volto della Chiesa, quando il genio femminile sarà pienamente riversato nei vari ambiti della sua vita?» (Saluto domenicale, 3 settembre 1995); sullo stesso argomento, cf. Vita consecrata, 57 (1996); Ecclesia in Europa 43 (28 giugno 2003).

                                                                                                                (6 – fine)

Giuseppe Pulcinelli
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