Famiglia, ripensarla in tempo di crisi

Di fronte al consumo sfrenato, all'individualismo e all'indifferenza occorre rivalutare il legame tra famiglia, festa e lavoro. Lo dicono due sociologi della Cattolica di Milano.

15/04/2012

Diritto al godimento individuale, narcisismo esasperante e rapporti strumentali segnati dall’indifferenza. Ecco i “tasselli” chiave che danno vita alla crisi evidente della società attuale. A sostenerlo con convinzione sono Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, coniugi e docenti di Sociologia all’Università Cattolica di Milano. I due esperti, tra le pagine dell’articolo Ripensare la famiglia in tempi di crisi, apparso sul n. 2/2012 di Famiglia Oggi, analizzano i tratti tipici dei grandi problemi di questo tempo e ipotizzano che il loro superamento richieda un vero e proprio “cambiamento di rotta”. Da perseguire ripartendo dallo stretto legame che esiste tra la famiglia, il lavoro e la festa. Solo da questo fondamentale intreccio, infatti, emerge con limpida chiarezza la natura “relazionale” dell’essere umano e del “vivere sociale”, unica dimensione capace di restituire unità alla stessa esperienza umana.

A quanto pare, però, la contemporaneità non ha fatto altro che attribuire ampio valore al “consumo” e al “possesso”, credendo di costruire la felicità dell’uomo sulla sua presunta autonomia e indipendenza, invece che fondarla sulla relazione con gli altri e con l’Altro. Consumo spregiudicato e individualistico che ha deturpato anche il senso profondo della festa: «quest’ultima», precisano i due sociologi, «spogliata della sua dimensione collettiva e, soprattutto, della sua componente di sacralità viene colonizzata dal consumo, dato che le persone, senza rendersene conto, continuano a lavorare producendo reddito attraverso la loro attività di acquisto. La dimensione sacra, rifiutata nella sua veste religiosa, riemerge … nella forma dei pellegrinaggi alle “cattedrali di consumo”, nelle ritualità guidate dai nuovi esperti (gli idoli del momento, i guru delle ultime tendenze), nella partecipazione di massa ma individuale alle cerimonie calcistiche, all’inizio dei saldi, al concerto delle star». Si può ben immaginare, dunque, come il lavoro e la vita familiare siano seriamente minacciati da questa deriva che, nel suo avanzare, tende a far percepire gli altri solo come funzionali a sé e al proprio piacere, e non come beni e valori in sé.

«Rimettere al centro dell’attenzione la famiglia», continuano i due sociologi, «significa riuscire a rimettere in discussione il modo in cui il lavoro e la festa vengono definiti nell’attuale modello di sviluppo. Vuol dire trovare un punto di riferimento sicuro per liberare questi ultimi due ambiti espressivi dalle riduzioni e dalle derive che hanno assunto nella contemporaneità». È il clima respirato in famiglia, quindi, a far riscoprire l’impegno e la dedizione non solo come valori orientati verso sé stessi e la propria realizzazione professionale, ma anche, e soprattutto, come rivolti all’altro e al legame che insieme a lui si costruisce.

Un legame che si nutre della gioia, non vista come puro intrattenimento o ricerca ossessiva del godimento, ma come riconoscenza e reciproco riconoscimento, oltre che come apertura all’essere pienamente umani aprendoci all’Altro.

Simone Bruno
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Postato da santrev il 17/04/2012 20:20

Ma a chi si rivolgono questi esperti? Spero ardentemente alla gerarchia della chiesa, che da sempre parla di famiglia, ma che purtroppo parla e basta. Vorrei solo ricordare la figura della casalinga, donna che rinuncia allo stipendio, alla pensione, che dedica tutta la vita per l'educazione dei figli, che regge molto spesso le redini della famiglia stessa, tanto per indicare solo alcuni dei ruoli basilari in cui é coinvolta. Il "mammo" come l'ha definita don Mazzi, visto che spesso fa le veci anche del padre. Orbene, gli scienziati che studiano da decenni la famiglia che cosa ci hanno indicato in tutti questi anni, di questa figura basilare della famiglia? Parole, tante parole, solo e sempre parole. Guarda caso parlando con qualche prete, tra quelli che si sporcano la veste andando a visitare le famiglie in difficoltá a casa loro, scopro che ha le idee molto piú chiare e conosce i problemi della famiglia molto meglio di questi luminari che ad ogni meeting ci sfornano le loro idee su tutti i giornali, salvo dimenticarsi ogni volta di dare soluzioni concrete! Prima di occuparsi della "famiglia in tempo di crisi", si occupassero della "famiglia". Sarebbe molto meglio.

Postato da Franco Salis il 17/04/2012 10:22

Vorrei porgere ai due esperti alcune domande: adesso che l’avete pensata, che cosa suggerite per crearla? Voi due, proprio perché esperti, non trovate difficoltà a costruire quel tipo di famiglia a casa vostra? Di regola l’attività professionale analoga reca danno anzi che supporto all’attività educativa. Un bravo insegnante non necessariamente è un buon padre, anzi; è vera questa affermazione? Credete che si possa innalzare un fortino tutto intorno per non inquinare la famiglia o pensate invece che si debba aprire (e come potrebbe essere diversamente) all’esterno, senza avere intenti narcisistici. Le altre agenzie educative principali scuola e oratori non soffrono degli stessi mali? Il plauso dei genitori al professore che allontana l’alunno che disturba, o l’assenza in oratorio di fedeli problematici non crea la filosofia che sta alla base dell’esasperazione dell’ individualismo? Se ci convincessimo che tutti hanno origine divina, e quindi sono partecipi della funzione sacerdotale, missionaria e profetica e quindi pari dignità, pur nella diversità di ruoli e carismi G.S.? In data 30.03.12 è apparso un servizio dallo stesso titolo “Famiglia, ripensarla in tempo di crisi”, cui ho postato un commento di cui trascrivo solo una parte. Chiedo scusa anticipatamente a miarialma, che in quella occasione si era indignata, cosa lecita, ma io devo persistere nel mio dovere: “E’ necessaria la presenza in oratorio di almeno uno proveniente da famiglia disordinata (eufemismo),uno divorziato e risposato , un giovane con disagio tipicamente giovanile o più grave, un portatore di handicap , un nomade, uno dal colore della pelle nera o gialla e al nord uno della lega. In assenza di questi tipi non si parli di educazione cristiana, ma solo di “apologetica” di cui vi è già di troppo sia la omonima rivista che presenza in parlamento. Se quelli non vengono, che cosa facciamo? Risposta: lasciamo le 99 pecore e andiamo alla ricerca di quella smarrita, Certo, prima di tutto bisognerà “formare” i formatori ,cioè i parroci. Questo è il compito più difficile: dal momento che sono stati dis-educati all’obbedienza e alla mentalità della struttura verticistica, hanno scarsa dimestichezza nella struttura orizzontale e tenderanno necessariamente ad accentrare in essi tutte le decisioni e continuare a parlare, ipocritamente o anche in buona fede, di “comunità parrocchiale” che di comunità non ha nulla. Marialma, ricordati: sopportare le persone moleste è un precetto della chiesa.Ciao.

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