15/03/2012
Per Gatto Panceri il prossimo 2 giugno sarà come vivere il secondo tempo di un bellissimo film la cui prima parte si è svolta nel 2001, quando cantò in piazza San Pietro davanti a Giovanni Paolo II in occasione della Giornata mondiale della famiglia. Anche stavolta ci sarà un pontefice, Benedetto XVI, ad ascoltare canti, balli e preghiere in occasione della Festa delle Testimonianze, la manifestazione in programma all’aeroporto di Bresso nell’ambito del VII incontro mondiale delle famiglie. La differenza rispetto a 11 anni fa è che l’autore di tanti successi (uno su tutti, “Vivo per lei”, interpretato da Andrea Bocelli e da Giorgia), non canterà, ma preparerà i giovani artisti che si esibiranno davanti al Papa. Panceri è infatti stato scelto dalla fondazione Family 2012 come coordinatore di una giuria che selezionerà cinque musicisti e cantanti e altrettanti animatori, di età compresa fra i 18 e i 32 anni (per partecipare, bisogna scaricare il modulo dal sito www.family2012.com), che saliranno sul palco per accogliere Benedetto XVI.
- Con quali criteri selezionerete i giovani?
«Dovranno inviare un video per la categoria animatori e un Mp3 con il testo della canzone per la sezione cantanti. Sui contenuti, lasciamo massima libertà, sia da un punto di vista musicale (si può spaziare dal rock al rap), sia nei testi. Il confine fra canzoni di musica leggera e canzoni di ispirazione cristiana non è così netto come potrebbe sembrare, anzi. Non ci interessano brani che ricalchino quelli che siamo abituati a sentire a Messa. Si può parlare di famiglia, di amicizia, di rapporti con i genitori o con i fratelli in modo originale».
Il papa tra i giovani a Roma, in Piazza San Pietro (Ansa).
- Questo concorso è già stato definito l’“X-Factor per il Papa”. Che
differenze ci sono rispetto al talent show che si vede in Tv?
«A X-Factor conta essere telegenici e avere una bella voce. A noi
interessano invece giovani che abbiano qualcosa da dire. Dai talent show
escono quasi esclusivamente cantanti, mentre oggi c’è un gran bisogno
soprattutto di bravi autori».
- Ma come si riconosce un talento?
«C’è una forte componente innata. Un giovane di talento dopo poche
settimane suona la chitarra molto meglio di un coetaneo “normale” che da
anni prende lezioni, ma soprattutto un talento lo riconosci perché non
tenta mai di assomigliare a qualcuno: anche quando canta brani di altri,
ci mette sempre qualcosa di suo. Ma il talento, per poter sbocciare, ha
bisogno di essere coltivato. Ecco perché i selezionati, prima di salire
sul palco il 2 giugno, saranno preparati da un gruppo di professionisti
della Hope Music School, la scuola di musica voluta dalla Cei con cui
da anni collaboro anch’io. Faremo quello che le case discografiche non
fanno più: pungolare i giovani artisti, dar loro dei consigli per
migliorare il testo, la musica, l’arrangiamento».
- Chi sono i giovani che frequentano la Hope Music School?
«Gli stessi che credo parteciperanno a questo concorso: una parte
proviene dalla realtà degli oratori o dall’associazionismo cattolico, ma
c’è anche un’ampia fetta costituita semplicemente da giovani che amano
la musica e desiderano perfezionarsi».
- Oltre alla possibilità di esibirsi nella festa del 2 giugno, i partecipanti al concorso riceveranno un premio?
«No, ma sarà una straordinaria possibilità per farsi conoscere. Io
stesso, se sarò particolarmente colpito da qualcuno di questi ragazzi,
intercederò volentieri per loro con i discografici che conosco».
- Ti rivedi un po’ in loro, anche alla luce della tua esperienza di 11 anni fa di fronte a Giovanni Paolo II?
«Sicuramente sì. Ricordo che allora cantai un brano che avevo presentato
a Sanremo, “L’amore va oltre”, scritto pensando a un amico disabile.
Spesso mi chiedevo che senso avesse scrivere delle canzoni. Quando ho
visto il Papa muovere il piede a tempo della mia musica, ho trovato la
risposta. L’emozione è stata fortissima anche perché proprio io, figlio
di una ragazza madre, fui scelto per cantare in un’occasione dedicata
all’importanza della famiglia. Spero che anche questi ragazzi possano
rivivere le stesse sensazioni che ho provato».
Eugenio Arcidiacono