Bagnasco sul lavoro: urge sviluppo

Il cardinale di Genova richiama alla coesione sociale e chiede investimenti. Perché, dopo l'emigrazione delle teste non vengano cancellati anche i corpi delle aziende.

19/03/2012
Il cardinale Bagnasco con alcuni lavoratori dell'Ansaldo Energia di Genova (foto Ansa).
Il cardinale Bagnasco con alcuni lavoratori dell'Ansaldo Energia di Genova (foto Ansa).

Il discorso è per Genova, ma i temi toccati dal cardinale Angelo Bagnasco nell’omelia  per la consueta messa con il mondo del lavoro che si celebra ogni anno per la festività di San Giuseppe, riguardano tutta l’Italia.


     «Si dice che bisogna ristrutturare le aziende, e questo spesso è vero», ha detto l’arcivescovo della città ligure e presidente della Cei, «ma la ristrutturazione in sé, senza cercare commesse  in Italia e per il mondo non  crea lavoro. E allora, ridefinire e risanare – mi chiedo – si riduce a una operazione di finanza oppure è un impegno di reale sviluppo e quindi di crescita lavorativa?».
 
Il cardinale Bagnasco, pur offrendo spunti di speranza, è preoccupato per la situazione di crisi e sprona la comunità a cercare la coesione e a essere disposta ai sacrifici. Purché non siano fine a se stessi.  Occorre «vedere un orizzonte vero, non delle parole che si ripetono  inconcludenti; avere certezze non promesse, perché i tempi stringono e le ristrettezze diventano sempre più pesanti sulle spalle delle famiglie».

E aggiunge: «Senza meta le forze dei naviganti si scoraggiano e si affievoliscono, i remi diventano troppo pesanti e le braccia si arrendono: la barca va alla deriva. Ma se appare l’orizzonte vero, allora i sacrifici si moltiplicano e capacità nuove si sprigionano».
Pur premettendo che la Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre, il cardinale non si sottrae a indicare delle strade e a mettere in guardia dai pericoli: «Per creare futuro dobbiamo mettere in conto anche eventuali disagi temporanei, ma è la visione d’insieme non il proprio particolare che deve ispirare e sostenere. D’altra parte, salvare il particolare a scapito dell’insieme quanto giova al particolare stesso?».

E ancora sulla delocalizzazione delle aziende insiste: «Si dice che importante è non perdere posti di lavoro, ed è già un punto fondamentale; ma se la “testa” di un’azienda emigra, il resto del corpo quanto potrà resistere? Si dice che è da difendere la forza lavoro, ed è giusto, ma non ci si può accontentare di questo: se si lascia che la tecnologia prenda le ali, non diventeremo un luogo di assemblaggio? E allora, oltre ad aver perso professionalità e ingegno, quanto sarà sicuro il lavoro residuo?».

E conclude dicendo che «perché questo non accada è necessario non solo mantenere la tecnologia, ma bisogna investire e farla crescere: quanto più le difficoltà sono grandi tanto più urgente è lo sviluppo, bisogna  puntare in alto: conservare, mettere delle pezze, è qualcosa ma è pericoloso».

Annachiara Valle
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Postato da Paolo Zuliani il 20/03/2012 10:52

.... ma questa crisi, che sembra sempre più avere connotazioni strutturali, di disgregazione di un sistema economico, e non contingenti, non potrebbe suggerire di cercare soluzioni maggiormente coerenti con la dottrina sociale della Chiesa? Non si potrebbero cercare di attuare, progressivamente, forme di economia di solidarietà, di "comunione", basate su logiche di equa ripartizione delle risorse, sulla riduzione/riqualificazione dei consumi, sulla decrescita, sulla valorizzazione delle risorse locali, sul lavorare un po' meno ma lavorare tutti, sul recuperare una dimensione antropologica che non riduca l'uomo a "merce", oggetto passivo di un mercato globale, sul ridare centralità all'economia reale e non a quella finanziaria, vista la deriva meramente speculativa che quest'ultima sta assumendo, in perfetta coerenza al modello "utilitarista" su cui si fonda?

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