Caritas, educare controcorrente

Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei interviene al Convegno della Caritas italiana: «Non si tratta solo di agire in modo giusto, ma di essere giusti».

22/11/2011
Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei).
Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei).

Sono i «comportamenti» ed è «l’agire» quotidiano che rendono assimilabili la fede e i valori. Monsignor Mariano Crociata interviene al Convegno della Caritas italiana per sottolineare quanto sia insostituibile nel processo educativo la «pedagogia dei fatti». È «la carità che educa il cuore dei fedeli», insiste il segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei) indicando l’organismo ecclesiale, «a tutti i suoi livelli, come uno dei destinatari privilegiati degli Orientamenti» che i vescovi italiani hanno intitolato Educare alla vita buona del Vangelo. Un’educazione non astratta, ma che fa i conti con il contesto.

«Oggi», afferma il segretario della Cei, «in una società permeata dalla logica dell’affermazione di sé, del consumo sfrenato, della competizione senza limiti, è indispensabile, per garantire questa qualità “caritatevole”, un impegno educativo specifico, che vada contro corrente». Parla di immigrati, il segretario della Cei, esortando a «imbandire il banchetto delle differenze» e poi si sofferma sul bene comune e sulla «cosiddetta “questione morale”, che in passato passava per il tema della legalità».

«Ora questa battaglia appare ancora quanto mai necessaria, ma insufficiente», insiste monsignor Crociata. «In presenza di palesi limitazioni della giustizia e dell’uguaglianza, si rende urgente il rilancio di un concetto di legalità che non si riduca alla pur necessaria osservanza delle norme giuridiche, ma implichi una nuova etica pubblica come indispensabile cornice entro cui le leggi stesse devono essere fatte e osservate.  Bisogna che i cittadini si impegnino a rispettarle e che esse siano conformi alle reali esigenze del bene comune e della giustizia».

E tra gli applausi dei presenti, in un Palafiuggi strapieno, monsignor Crociata continua sul concetto di giustizia. «Non si tratta solo di agire in modo giusto, ma di essere giusti. E non si tratta di scegliere tra doveri e felicità, ma di adempiere i propri doveri perché lo si desidera e, in ultima istanza, per essere felici. Una vita buona è una vita giusta, ma è anche una vita felice». Non solo, «il vostro messaggio ai poveri», sottolinea,  «non può e non deve essere la prospettiva di diventare ricchi, almeno come lo sono coloro che oggi hanno questa qualifica, perché in questo modo essi passerebbero solo da una forma di disumanità a un’altra. Ciò che la Caritas annuncia è una radicale liberazione da logiche sbagliate, che sono alla radice della cattiva povertà e della cattiva ricchezza di cui è fonte la nostra società».

La platea, attenta, prende appunti: «Gli esseri umani», incalza il relatore, «non possono vivere nel nulla, anche se mascherato delle vetrine luccicanti del consumismo. A questo nulla dilagante – di cui soprattutto i giovani sono vittime indifese – la sola risposta rimasta, nel crollo delle ideologie, nel declino delle “grandi narrazioni” delle filosofie moderne, è il Vangelo».

Annachiara Valle
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Postato da Andrea Annibale il 22/11/2011 23:39

La dimensione individuale della giustizia nella fede che ci ricorda San Paolo, dicendo che il giusto vivrà mediante la fede, si intreccia necessariamente con la dimensione pubblica della fede, ma come? Il giusto deve entrare nelle èlite come è capitato al Professor Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, una persona giusta al posto giusto. Il giusto deve però avere gli strumenti per operare. Oggi molti giusti sono ridotti all’impotenza anche se pubblicamente esposti e visibili, mentre faccendieri, spesso finanzieri malvagi, tramano nell’ombra decretando la rovina degli Stati. Bisogna introdurre un principio di responsabilità civile per chi provoca crisi finanziarie nei mercati mondiali. Non tanto una burocratizzazione del mercato, ma un principio per cui la violazione del patto solidaristico che è nel diritto di natura porta a pesanti conseguenze economiche, anche al di là dello schermo dell’anonimato societario. Oggi è possibile che il diritto positivo si faccia via di salvezza planetaria. Ci deve inoltre essere una responsabilità civile internazionale per chi distrugge il Creato, specie in Africa che è vista come terra di conquista per interessi economici anziché terra di progresso. Lo strumento fiscale, poi, dovrebbe tenere conto della rilevanza sociale ed eticità delle attività economiche. Bisogna infine dare un’opportunità a tutti per emergere, non ad una piccola manciata di privilegiati, ricchi e raccomandati. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

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