14/06/2012
Comincia con una «doverosa manifestazione di vicinanza alla popolazione che continua a fare i conti con il terremoto» la presentazione della rilevazione dei servizi sociosanitari e sanitari ecclesiali presenti in Italia. «Per la Chiesa camminare con persone e comunità vittime di un’emergenza è infatti in primo luogo una forte esperienza di prossimità, relazione, attenzione concreta ai loro bisogni», dice a nome di tutti i relatori monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali. «Le povertà sociali che si estendono sempre più in un tempo di crisi come questo ci interpellano come Chiesa a mettere in campo azioni e opere sempre più incisive che siano anche di stimolo per le istituzioni locali».
E di queste azioni concrete la ricerca Opere per il bene comune (Edb) ne censisce oltre 14mila. Si tratta di servizi sia in ambito socioassistenziale che sanitario collegati alla Chiesa.
Michele Loiudice e Renato Marinaro, tra i responsabili del gruppo di lavoro che ha curato la rilevazione, hanno sottolineato che «i numeri si riferiscono soltanto a quelle strutture che hanno continuità temporale o organizzativa, che operano in ambito socio sanitario o socioassistenziale, e che siano collegati o direttamente o indirettamente alla Chiesa. Indirettamente significa che si tratta di servizi attivati da persone o gruppi che per scelta valoriale e finalità si collocano all’interno della comunità ecclesiale». Si tratta di un vero e proprio esercito. Negli oltre 14mila servizi, infatti, sono impegnate poco più di 420mila persone, due terzi in modo volontario. La Lombardia risulta la regione con il maggior numero di strutture (1.861) seguita da Triveneto (1.590), Emilia Romagna (1.523), Toscana (1.492) e Piemonte-Valle d’Aosta (1.222).
Un'immagine tratta dal sito Internet della Conferenza episcopale italiana.
Se si considera, però, il rapporto tra numero di servizi e popolazione residente Toscana ed Emilia si collocano ai primi posti. Tra le regioni meridionali le prime risultano la Sicilia, con 1.037 servizi attivati, e la Puglia, con 1.036. Nella grande maggioranza dei casi (l’83,8 per cento) sono le parrocchie le promotrici dei servizi sociosanitari o sociali non residenziali. Per quelli residenziali, invece, in più della metà dei casi (precisamente nel 61,5) si fanno parte attiva gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.
La ricerca, voluta dalla Conferenza episcopale italiana, dalla
Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali, dalla Caritas
italiana e dall’ufficio nazionale per la pastorale della sanità, dà
conto di una estrema vivacità del mondo ecclesiale per quanto riguarda
le risposte alle povertà e ai bisogni. Basta considerare, per esempio,
che circa 5.000 servizi sono stati messi in piedi negli ultimi dieci anni per coprire i nuovi bisogni emergenti.
«Altro dato positivo», ha sottolineato monsignor Andrea Manto,
responsabile per la Cei della pastorale sanitaria, «è la capillarità dei
servizi e la capacità di riconoscere quello alla salute come un diritto
senza esclusione».
La ricerca, ha spiegato infine monsignor Merisi, «è utile sia per
immaginare i prossimi scenari che per tre obiettivi concreti: conoscere
le nostre realtà, averne cura e intessere una rete tra di esse».
Annachiara Valle