Messico, il perdono contro i narcos

In un video dei Paolini la risposta alla violenza arriva da un sentimento «capace di trasformare l'intera società». Un sacerdote scomparso e dieci parroci minacciati di morte.

29/01/2013
Un'immagine tratta dal video "Hermano narco" (Fratello narco). La fotografia di copertina è dell'agenzia Getty Images.
Un'immagine tratta dal video "Hermano narco" (Fratello narco). La fotografia di copertina è dell'agenzia Getty Images.

Accade in Messico: un gesto d'amore per bloccare i "cartelli della morte". Omar Sotelo Aguilar, sacerdote paolino messicano, prova a rivalutare il sentimento del perdono e a spiegarne l’enorme potenzialità: «È un sentimento così forte, proprio dell’essere umano, che può trasformare una intera società». A riprova, ha prodotto un video di dieci minuti, per sottolineare il perdono come strumento capace di modificare la vita di ognuno. Il video, intitolato Hermano narco (Fratello narco), racconta la storia, ripresa da fatti realmente accaduti, di Miri, ragazzina di 13 anni, che col fratello minore vede uccidere i genitori da una banda di narcotrafficanti, e alla fine abbraccia l’assassino in segno di perdono, nonostante i parenti l’abbiano incitata all’odio e alla vendetta.

Il video è stato presentato dal cardinale Norberto Rivera nella cattedrale di Città del Messico, di cui è arcivescovo. Il tentativo è anche quello di dare una risposta d’aiuto in una nazione lacerata, come la maggior parte in America Latina, dalla violenza. Hermano narco è il primo di dodici cortometraggi che narrano storie tratte da vicende realmente accadute, e nelle quali le persone protagoniste hanno chiesto aiuto alla Chiesa. Il video può essere visto sul sito del Ccm, Centro catolico multimedial, www.ccm.org.mx.

Don Omar Sotelo Aguilar, della realtà messicana dice che «in alcune zone del Paese ormai non si può più vivere», affermazione che non è dettata da pessimismo e sconforto, ma da senso realistico del problema. Le cifre lo confermano: oltre 15.000 le vittime del conflitto tra i cartelli della droga nello scorso anno, cifra che sale a 90.000 (secondo i dati delle Ong) se valutiamo gli ultimi sei anni. Come sempre in modo apparentemente paradossale, più la cifra cresce, e meno si sottolinea il problema. Una realtà malata diventa, così, la norma di vita quotidiana. E se il numero delle vittime aumenta, vuol dire che la regola del perdono non è presa nella giusta considerazione. Al contrario, l’affermarsi di una cultura del perdono risulterebbe un gesto rivoluzionario, capace di smontare in modo netto la spirale di violenza e di vendetta legata ai cartelli della droga, ai narcos e alle loro vicende criminali.

Ci ricordiamo di quale sia stata l’ultima volta in cui abbiamo perdonato qualcuno? Se lo abbiamo fatto, dopo siamo stati meglio? O non è cambiato alcunché? O, addirittura, riteniamo di aver sbagliato a perdonare? La maggioranza delle persone, alla domanda risponde con sicurezza che il perdono ha fatto stare meglio nell’anima e anche nella vita quotidiana. E, allora, perché il perdono sembra così difficile da praticare?

La speranza che il primo video del sacerdote paolino possa attecchire nei quartieri più poveri e bisognosi resta alta, anche nel momento in cui continuano gli episodi di violenza. Uno degli ultimi è stato denunciato dal nunzio apostolico in Messico, monsignor Christophe Pierre, che ha manifestato la sua condivisione della sofferenza di tutte le famiglie delle vittime dei rapimenti. Il nunzio ha espresso particolare apprensione per la scomparsa di un sacerdote, Santiago Álvarez, scomparso da giorni: «Nella diocesi di Zamora un sacerdote è scomparso pochi giorni fa, e nessuno sa nulla, ma sappiamo bene che questo sacerdote è uno delle migliaia di persone, migliaia di famiglie, che soffrono come voi», alla fine della celebrazione eucaristica conclusiva del pellegrinaggio al Cerro del Cubilete, a Guanajuato.

Quasi 35.000 giovani hanno percorso 14 chilometri in preghiera per arrivare al monumento di Cristo Rey. Alla celebrazione hanno partecipato alcuni vescovi e centinaia di sacerdoti. I giovani hanno invocato la fine della violenza, dell’insicurezza, dell’ingiustizia e, in particolare, dei rapimenti. Ai giornalisti monsignor Pierre ha detto di aver conosciuto il sacerdote scomparso qualche mese fa: «Lo ricordo bene, era molto cordiale e simpatico. Soffro e condivido la sofferenza del vescovo  Javier ma anche le sofferenze di migliaia di mamme, papà, fratelli e sorelle, che non sanno dove sono i loro cari. Si tratta di una tragedia. Tutti desideriamo una situazione di maggiore giustizia, e per raggiungere la giustizia dobbiamo lavorare tutti, ognuno nel suo incarico».

La Cattedrale di Città del Messico.
La Cattedrale di Città del Messico.

Non solo. A ennesima dimostrazione del clima che si sta vivendo nel Messico, va anche sottolineato come l’impegno della chiesa nel Paese sia sempre più osteggiato dalle cosche. Un esempio viene dal vescovo della diocesi di Netzahualcoyotl, Luis Hector Morales Sánchez. Il vescovo ha denunciato che i sacerdoti che lavorano nella parte orientale dello Stato di Mexico sono stati minacciati di morte da membri della criminalità organizzata. Almeno dieci parroci della diocesi hanno dovuto dare soldi alle organizzazioni criminali per evitare di essere uccisi. Monsignor Morales Sánchez ha anche rilevato che alcuni ministri della Chiesa cattolica che hanno ricevuto minacce telefoniche, a cui però non hanno dato importanza.

«Per fortuna, ringraziando Dio, non ci sono da piangere morti e violenza. Piuttosto c’è violenza psicologica attraverso l’estorsione. Sono pochi i sacerdoti che hanno dato del denaro, altri sono stati in grado di gestire la situazione. Per fortuna abbiamo avuto il sostegno delle autorità in questi casi difficili», ha detto il vescovo alla stampa. Le autorità dello Stato di Mexico hanno espresso preoccupazione per l’ondata di omicidi nelle ultime due settimane: quasi 40 morti nella capitale e nella periferia.

Per il procuratore dello Stato, Miguel Angel Contreras, c’è un rapporto fra l’aumento della violenza e la presenza crescente di bande criminali, i cartelli La Familia Michoacana, Los Zetas e un nuovo gruppo chiamato Guerreros Unidos. Le autorità della capitale invece non concordano con questa ipotesi. Secondo i dati del governo del presidente Enrique Peña Nieto, la violenza della criminalità ha lasciato più di 70.000 morti durante il governo (2006-2012) del suo predecessore, Felipe Calderón.

Manuel Gandin - Agenzia Fides
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