Burke, un americano in Vaticano

Intervista esclusiva con Greg Burke, dell'Opus Dei, nuovo consulente scelto da padre Lombardi per curare le strategie di comunicazione della Santa Sede.

10/07/2012
Greg Burke, 52 anni, americano di Saint Louis, per 10 anni corrispondente da Roma per Fox News e dal 2 luglio nuovo advisor vaticano per le comunicazioni (foto e copertina Alessia Giuliani /Cpp).)
Greg Burke, 52 anni, americano di Saint Louis, per 10 anni corrispondente da Roma per Fox News e dal 2 luglio nuovo advisor vaticano per le comunicazioni (foto e copertina Alessia Giuliani /Cpp).)

Rispettoso e irriverente quanto basta. «Nei giardini vaticani? Con la mia passione per il golf, vedrei bene tre buche». Greg Burke, 52 anni, americano di Saint Louis, per 10 anni corrispondente da Roma per Fox News e dal 2 luglio nuovo advisor vaticano per le comunicazioni, ha il piglio giusto per dribblare le “trappole” che possono far interpretare male anche le migliori intenzioni.
Una figura nuova per la Santa Sede, creata apposta, come è stato ben spiegato da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, per «contribuire a integrare l’attenzione alle questioni della comunicazione nel lavoro della Segreteria di Stato e a curare il rapporto con il servizio della Sala Stampa e delle altre istituzioni comunicative della Santa Sede».

«Se si vuol scrivere che mi hanno scelto perché sono americano, dell’Opus Dei o cose simili, facciano pure», dice Burke. «Io spero che la scelta sia ricaduta su di me perché sono un professionista conosciuto, perché ho una buona esperienza, perché la Fox, per cui ho lavorato finora, è una cosa molto seria, per non parlare del Time, dove ho lavorato in precedenza per altri 10 anni».

– L’appartenenza all’Opus Dei non c’entra?


 «Non so se il fatto di essere dell’Opera sia sempre un vantaggio. Anni fa uno dei miei capi al Time mi diceva che avrebbe voluto farmi fare più cose, ma che la gente attorno lo metteva in guardia perché sono dell’Opus. Ho risposto a lui come rispondo a tutti: mettetemi alla prova, fatemi lavorare e giudicate dal prodotto finale. E anche a chi mi chiede perché faccio parte dell’Opera dico che la gente cerca la felicità e io, dopo 35 anni di vocazione nell’Opus Dei, sono felice».

– Quale sarà il suo ruolo?


«Dovrei preparare e coordinare le strategie di comunicazione. Un ruolo molto simile a quello che ha il direttore della comunicazione nella Casa Bianca. Lì c’è un portavoce, Jay Carney, che tutti conoscono e poi c’è quest’altra figura cui spetta pensare e formulare il messaggio. Credo che sia quello che si aspettano da me, anche se ci tengo a precisare che quello di direttore non è il mio titolo».

– E i rapporti con padre Lombardi?

«Il rapporto con padre Lombardi sarà il punto chiave. La mia speranza, e credo anche la sua, è di aiutarlo ad avere più tempo per il suo lavoro. Io dovrei preparare il terreno per il messaggio che lui dà, in modo da rendere più efficace la comunicazione. Detto in termini calcistici, se si gioca sempre in difesa si prendono gol, invece se si ha tempo per preparare l’azione ci si può spingere in avanti».

- Lei è esperto di termini calcistici?

«Ho scritto un libro con Carlo Ancelotti sul calcio italiano, ho mandato un fax quando è andato al Chelsea proponendomi di insegnargli l’inglese. Ho tifato per le sue squadre persino quando era alla Juventus che a me, mi spiace per il cardinale Bertone, non è molto simpatica. Adesso che sono entrati gli americani sono tifoso della Roma. Anzi, pensando a cosa avrei voluto fare dopo l’esperienza con la Fox, avevo messo in cima ai desideri quello di occuparmi della Roma, ufficio stampa e marketing, o di passare a Sky Sport. Poi però è arrivata la richiesta vaticana».

– Alla quale ha detto di no per due volte...

«Diciamo che ho detto prima no, poi nì e alla fine sì. Mi hanno chiamato mentre ero negli Stati Uniti per parlare con i miei capi e per festeggiare i 90 anni di mio padre. Per telefono mi hanno detto solo che al rientro, il 4 giugno, mi aspettavano in Segreteria di Stato per parlarmi. Io sono andato al compleanno di mio padre senza dire niente a lui e ai miei cinque fratelli. Al rientro in Italia, dopo il primo colloquio avevo detto di no, anche perché facevo un lavoro che mi piaceva e avevo altri progetti. Nel secondo colloquio ho dato qualche apertura e, infine, la notte tra il 9 e il 10 giugno ho trovato il coraggio, o l’incoscienza, per dire di sì».

– La nomina di un advisor è stata sollecitata dallo scandalo Vatileaks?

«È un dato di fatto che io sia stato contattato pochi giorni dopo l’arresto del “maggiordomo” del Papa, ma credo che il Vaticano avesse cominciato prima a muoversi nel verso giusto. Prendiamo per esempio lo scandalo pedofilia. Quella è stata una lezione per la Chiesa. All’inizio, voler mettere tutto a tacere si è rivelato disastroso. Il Papa lo dice molto bene nel suo libro Luce del mondo: “In quanto le rivelazioni sono vere, è utile che vengano a galla”. Questo ci aiuta a fare pulizia. Negare i problemi è controproducente».

– Conoscere i colleghi della Sala Stampa è un vantaggio o una difficoltà?


«Entrambe le cose. Il mio compito non è quello di prendere decisioni, ma di dire: “Di questo comunicato i giornalisti saranno interessati a questa frase e ci saranno queste reazioni”. Sta ad altri decidere cosa fare dopo. Conoscere i colleghi, da questo punto di vista, aiuta. Certo, poi c’è anche lo svantaggio che tutti pensano che sono un amico e che mi si può chiamare in qualunque momento».

– La sua vita è cambiata, adesso...

«Moltissimo. Se penso a quando lavoravo di notte per un’agenzia stampa a Chicago e a quello che mi accade oggi, devo dire che sono stato fortunato. Sono arrivato a Roma nel 1988 con il National Catholic Register, una piccola testata che, come molti giornali cattolici, ha finito presto i soldi. Ma sono riuscito a restare in Italia.
Ho lavorato per una rivista che si chiamava Metropolitan e poi, finalmente, per Time, riuscendo a dichiarare, nel 1994, il Papa uomo dell’anno, con tanto di copertina.
Qualche anno dopo, nel 2001, quando ho scritto di una delle stazioni della Via Crucis, andando a salutare Giovanni Paolo II già malato, mentre spiegavo chi ero, il Papa, spiazzandomi, mi ha ringraziato, dicendo in un inglese perfetto Thanks Greg.
Ho molti ricordi e molte nostalgie. Comprese quelle per il tempo libero. Non so se riuscirò ancora a fare jogging o a giocare a golf. Quello che so, però, è che per un americano riuscire a stare a Roma è meraviglioso. Sono impazzito per questo Paese. Non so se mi daranno il passaporto vaticano, intanto però a fine luglio mi arriverà quello italiano. Mi sento vostro concittadino al cento per cento».

Annachiara Valle
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