Vaticano-Cina, prove di dialogo

La proposta di una commissione mista tra Santa Sede e Pechino avanzata dal cardinale Ferdinando Filoni spariglia le carte alla vigilia del congresso del Partito Comunista.

25/10/2012
Il cardinale Ferdinando Filoni. La fotografia di copertina, scattata a Hong Kong, è dell'agenzia Reuters.
Il cardinale Ferdinando Filoni. La fotografia di copertina, scattata a Hong Kong, è dell'agenzia Reuters.

Una nuova "commissione mista" Vaticano-Cina per riaprire il dialogo bilaterale: la proposta del cardinale Ferdinando Filoni, prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, spariglia le carte e, alla vigilia della celebrazione del  Congresso del Partito comunista cinese, costituisce un messaggio ben chiaro della Santa Sede ai nuovi vertici di Pechino. E' un'iniziativa coraggiosa e  lungimirante, quella del prefetto di Propaganda Fide, il dicastero vaticano che sovrintende a tutte le circoscrizioni ecclesiastiche cinesi.

La Congregazione  tratta i dossier più scottanti a livello pastorale, come le nomine dei nuovi vescovi cinesi, con tutti i problemi legati, soprattutto, al riconoscimento del governo e a quello della Santa Sede, o ai rapporti con l'Associazione patriottica, il braccio governativo che controlla la Chiesa cinese. Il gesto di Filoni guarda lontano perché intende, in tal modo, sottrarre le relazioni sino-vaticane  alla dinamica dello “scontro politico”, che ha segnato ("fra alti e bassi", nota Filoni) l'ultimo periodo. E, avocando a sè e al suo  dicastero la risoluzione delle questioni cruciali, il cardinale intende riportare i rapporti  bilaterali sui binari di  un confronto il più possibile  sereno, indirizzandolo sul piano pastorale piuttosto che su quello puramente politico.

Una bambina in una chiesa cattolica di Pechino. Foto Getty Images.
Una bambina in una chiesa cattolica di Pechino. Foto Getty Images.

La missiva di Filoni, apparsa su "Tripod", il trimestrale pubblicato  nella diocesi di Hong Kong, e diffusa dal Vaticano tramite l'Agenzia Fides, ricorda la lettera inviata dal Papa nel 2007 ai cattolici cinesi, definendola "un punto di partenza per il dialogo nella Chiesa in Cina e può stimolare quello tra Santa Sede e governo di Pechino”. Quella lettera, infatti, non aveva un primario scopo politico. “Dopo anni di studio – ricorda il porporato – la Santa Sede aveva la chiara percezione che la Chiesa in Cina nel suo insieme non era mai stata scismatica”, ma viveva lacerazioni e compromessi. Aveva poi il  merito di aver riaffermato, senza se e senza ma, la necessità di un dialogo aperto e leale,  ostacolato invece, nell’ultimo quinquennio, da "incomprensioni, accuse, irrigidimenti, basati spesso su notizie incomplete e errate".


I problemi sul tavolo ci sono, è innegabile: il controllo dello Stato sulla Chiesa; le pesanti interferenze delle autorità civili sulle nomine dei vescovi;  l'intervento di vescovi illegittimi nelle consacrazioni episcopali, che ha creato “drammatiche crisi di coscienza". Ne è il simbolo il caso del vescovo Matteo Ma Daquin di Shanghai, privato della sua libertà perché il giorno della sua ordinazione episcopale aveva espresso l’intenzione di dedicarsi al ministero pastorale a tempo pieno, lasciando gli incarichi nell'Associazione patriottica.  Ma, proprio di fronte all'attuale impasse, è giunto ”il tempo di pensare ad un nuovo modo di dialogare”, per superare  paura  e diffidenze reciproche. Il modello può essere, nota Filoni, la Commissione stabile esistente tra Cina popolare e Taiwan o quella fra Santa Sede e Vietnam, che “hanno trovato un modus operandi et progrediendi”. Con la lettera di Filoni, la Santa Sede lancia un segnale. La palla passa ora al Governo di Pechino.

Paolo Affatato
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