18/12/2012
Copia di Paul Rubens della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci (foto Scala).
La collera è uno di quei vizi che, come si
dice, “si leggono in faccia”. Il volto di
chi ne è preda si sfigura. Come scrive
il monaco Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, questo stato d’animo
– diverso e peggiore rispetto a una sana indignazione
– produce effetti psicosomatici. Fa
venire il “fiatone”. Provoca senso di soffocamento.
Nessun artista ha saputo uguagliare
Leonardo da Vinci nell’esprimerlo. Così,
per esempio, in un disegno preparatorio per
la Battaglia di Anghiari (scomparsa sotto un
affresco del Vasari a Palazzo Vecchio, a Firenze,
e di cui ci resta una copia di Paul Rubens)
la collera esplode nel volto e nel terribile groviglio
di cavalli e guerrieri che si combattono
partendo da fronti opposti.
Caino uccide Abele, Monreale, mosaico del XII secolo.
L’ira è un sentimento pericoloso che può
portare a conseguenze estreme. Si può arrivare
a uccidere. Il primo omicidio della storia
si è consumato tra due fratelli. Per colpa
della collera. L’immagine di Caino che ammazza
Abele percorre tutta la storia dell’arte,
dai mosaici di Monreale del XII secolo ai
grandi interpreti di scene bibliche, dal Rinascimento
al Settecento, da Tiziano a Tintoretto.
I Padri della Chiesa insegnano che occorre
governare l’ira prima che diventi odio e generi
vendetta.
Ma qual è l’antidoto?
Sant’Agostino, nella sua Regola, afferma
che bisogna evitare le liti o almeno risolverle
al più presto. Se l’offesa poi è reciproca, bisogna
sapersi perdonare a vicenda. Altrimenti,
come insegna Gesù, come si fa a pregare Dio
se prima non ci si riconcilia con il fratello?
Nei Vangeli apocrifi un momento bello come
le nozze di Maria con Giuseppe viene guastato
da un gesto di collera: uno dei mancati
pretendenti di Maria spezza il suo ramo che
non è fiorito come quello di Giuseppe, il prescelto.
Così nel famoso Sposalizio della Vergine
di Raffaello, ma anche in quelli di Perugino,
Paolo Veneziano, Taddeo Gaddi e Bernardino
Luini (santuario di Saronno).
Nell’affresco
di Domenico Ghirlandaio che si trova a Firenze,
in Santa Maria Novella, il pretendente,
fuori di sé, alza addirittura il pugno contro la
coppia che sta celebrando il matrimonio.
Qualche anno prima Giotto, sulle pareti della
chiesa superiore di Assisi, rappresenta l’ira di
un padre, Pietro Bernardone, che si scaglia
contro suo figlio Francesco, il quale per farsi
umile e povero rinuncia all’eredità.
Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.
C’è anche una “santa collera”: per esempio
quella del Cristo giudice della Sistina di
Michelangelo. Una giusta indignazione
l’esprimono pure i profeti, primo tra tutti Mosè,
che davanti al tradimento del popolo che
adora un vitello d’oro spezza le tavole dei
Dieci Comandamenti. Leggiamo la collera soprattutto
sul volto del Mosè di Michelangelo
che si ritrova a Roma, in San Pietro in Vincoli;
ma anche altri artisti lo hanno rappresentato:
Guercino, Reni, Rembrandt, Chagall.
La guerra è certamente la più terribile dimostrazione
di dove possa portare la collera:
alla distruzione del genere umano. Se il Vangelo
chiama beati gli operatori di pace, l’arte,
la storia e persino la mitologia ci mostrano
che c’è sempre qualcuno che si pone come intermediario
per tamponare gli effetti della
collera. Tiepolo, nei suoi affreschi della Villa
Valmarana, a Vicenza, ci mostra la dea Minerva
mentre trattiene Achille che sta per uccidere
Agamennone. Anche tra gli dèi e gli eroi le
cose non vanno dunque meglio che tra gli uomini
e oggi, nonostante le denunce dell’arte,
dalla Fucilazione del 3 maggio 1808 di Goya
(1814) al quadro-manifesto di Picasso, Guernica
(1937), non abbiamo ancora imparato a
spegnere nel nostro cuore quella scintilla di
distruzione che la collera nasconde.
Alfredo Tradigo