La Scala e il decreto Bondi

Il tempio della lirica mondiale protesta. E si scopre che dei 1.400 lavoratori, più della metà ha contratti a termine.

10/05/2010
Il volantinaggio dei dipendenti della Scala per protesta contro il Decreto Bondi.
Il volantinaggio dei dipendenti della Scala per protesta contro il Decreto Bondi.

Gestione sprecona: questa è l’accusa mossa alla lirica. E arriva a bomba il decreto Bondi per la riforma delle fondazioni liriche e sinfoniche, firmato il 30 aprile dal presidente Napolitano. Ed è subito sciopero.

     Alla Scala di Milano, dove lavorano 1.400 persone, di cui solo 700 con contratti di lavoro non precari, la coccarda gialla diventa il simbolo della protesta. E la indossa anche Placido Domingo nel Simon Boccanegra diretto da Daniel Barenboim. Il teatro viene praticamente occupato e sul palco appare lo striscione: “No al decreto infame”. Fuori si volantina e c’è la processione funebre: compianta, nella finta cassa, è la cultura.

     A Milano, in questi giorni, niente spettacoli in quello che è considerato uno dei tempi della lirica mondiale, e prove generali aperte. Se nulla cambia sul tavolo delle trattative (ancora in corso e deve essere perlomeno ritrattato il decreto che, secondo alcuni sindacalisti, è a rischio di incosituzionalità), salterà la prima del 13 maggio per L’oro del Reno, mentre si ferma il teatro dell’Opera di Roma. Siamo andati in piazza della Scala a incontrare alcuni dei lavoratori del teatro in agitazione.

     Dice un ragazzo del reparto scenografia: "Il teatro ha parecchi problemi da risolvere, non si rispettano i lavoratori. Ti chiamano e ti offrono un contratto di 6 mesi, poi niente per il resto dell’anno. L’anno successivo ti propongono un altro contratto di 3 mesi che, ti fanno intendere, potrebbero diventare 9, ma nel frattempo hai accettato un altro impiego temporaneo in un altro teatro e rinunci. Così non ti chiamano più. Chiaramente questo vale per i non raccomandati". Una delle sarte che lavorano di sera durante gli spettacoli aggiunge: "Lavoro alla Scala da più di 10 anni con contratti a termine, vivo praticamente sotto ricatto. Il sindacato mi ha convinta a fare causa al teatro, l’hanno fatto in parecchi e l’hanno vinta. Se non si abolisce il decreto per noi è la fine. La Scala avrebbe comunque la possibilità di non assumere".

     Due fidanzati con contratti a termine si confidano con noi: "Non possiamo mettere in piedi una famiglia, comperare una casa in cui vivere e avere dei figli. Tutto per noi potrebbe finire domani e qui ci lavoriamo tutti e due". Ed ecco il parere di una ballerina: "Probabilmente andrò all’estero, come hanno già fatto tanti miei colleghi. Non possiamo permetterci di sprecare qui il nostro tempo. Una ballerina non ha certo una carriera lunga, dopo i 30 anni il fisico fa fatica a recuperare e gli sforzi sono sempre massimi. Da giovani avere ruoli importanti qui è difficilissimo e secondo il nuovo decreto poi bisognerebbe andare in pensione a 45 anni. A parte rarissime eccezioni, ballare a un buon livello a quell’età è praticamente impossibile. Qualcuno dice che siamo una categoria privilegiata. Voglio ricordare a questi signori che la carriera di un ballerino prevede otto ore di impegno quotidiano dai 9 anni di vita in sù … In un clima come questo è chiaro che l’eccellenza se ne va".

     Aggiunge una sua collega: "In Italia si taglia sulla cultura, come sempre. Ma a prescindere da questo, è ridicolo che la Scala , teatro d’eccellenza riconosciuto a livello mondiale, con il bilancio in pareggio da ormai cinque anni e più di 300 spettacoli messi in scena all’anno, possa essere infilato in un decreto legge che comprende teatri e fondazioni sconosciute. La Scala dovrebbe essere considerata in autonomia. Alcuni del sindacato, forse, non la pensano così, ma in fondo è la realtà".

di Giusi Galimberti
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