23/09/2011
L’ennesimo omaggio al blues di Eric Clapton? Senza dubbio. Ma se la vena creativa latita, e a 66 anni ciò è ampiamente perdonabile, meglio sfoderare ancora una volta l’immensa classe di chitarrista piuttosto che proporre sbiadite canzoni nuove. In questa chiave “Play the blues” è un disco consigliabilissimo. Prima di tutto non è solo un disco di Eric Clapton, ma è il frutto di un concerto al Lincoln Center di New York in cui “Slowhand” ha diviso il palco con Wynton Marsalis, eccelso cinquantenne trombettista nero della Louisiana.
Accompagnati da una band di musicisti di assoluto valore, i due hanno offerto un avvolgente concentrato della musica nera del Novecento, dal jazz originario delle big band di New Orleans, allo swing, al boogie-woogie. Clapton canta e suona da par suo, ma non straborda mai, mettendosi sullo stesso piano degli altri musicisti che hanno così modo di sfogarsi in un lunghissimi assoli. Ogni canzone dura così almeno 5-6 minuti, rispettandone in modo inappuntabile, filologico, la struttura. In questo modo in qualche punto, è inutile negarlo, affiora un po' di noia, tranne nell’unico brano che non sia un classico del blues inserito in scaletta. Si tratta di “Layla”, una delle canzoni più famose scritte da Clapton, che però non voleva inserirla nel disco. È stato il bassista Carlos Henriquez a insistere e ha fatto bene. Rispetto al rock trascinante della versione originale del 1970, e alla dolcissima versione realizzata nel disco “Mtv Unplugged” del 1992, Clapton ha scelto una terza via, un arrangiamento in puro stile jazz di New Orleans con un crescendo finale da brivido. Il disco è disponibile anche nella versione Cd+Dvd che, oltre a permettere di rivivere la calda atmosfera del concerto, offre sfiziosi contenuti speciali, come la documentazione delle prove.
Eugenio Arcidiacono