19/08/2011
Il musicista Nicola Conte (foto di Nicola Righetti).
E' arrivato il momento che gli artisti tornino a farsi portavoce di ideali alti. E' arrivato il tempo che la musica torni ad essere "politica", nel senso più profondo e nobile del termine, senza che questo aggettivo - "politica" - generi timori o diffidenza. E' il messaggio di Love & revolution, amore e rivoluzione, l'ultimo album dell'eclettico chitarrista, compositore e dj barese Nicola Conte. «In questo momento, vivendo in Italia, provo un profondo disagio.
L'artista è quasi sempre espressione della società che lo circonda», osserva Conte.
«E ora viviamo in un'epoca storica poco stimolante per l'arte. Però io spero che questa sia la fine di un periodo e che si
comincino a vedere i germogli di un nuovo tempo».
Love & revolution è un disco di protesta, ma una protesta romantica, come la definisce Conte stesso, venata di aneliti pacifisti e spirituali: «La copertina dell'album è dominata da motivi floreali, perché l'unica rivoluzione che io concepisco come
possibile è una rivoluzione dei fiori», dice il musicista, che il 20 agosto si esibisce a Monopoli (Bari) con il "Love & revolution dj party" e a settembre, il 23 e 24, sarà al Blue Note di Milano. «Rimango sempre attonito tutte le volte che sento parlare di violenza. E' questa la
nostra civiltà? Una rivoluzione deve essere pacifica. Per me Gandhi è
molto più attuale della Nato e degli eserciti». Love & revolution spazia dalla tradizione afroamericana al soul, dal jazz all'elettronica. Una fusione di suggestioni musicali nata anche grazie alla collaborazione di numerosi artisti italiani e internazionali - fra gli altri Flavio Boltro, Pietro Lussu, Magnus Lindgren e Till Brönner - tutti chiamati e riuniti da Conte a Bari per registrare il disco in presa diretta.
Love & revolution è stato registrato a Bari, la sua città. Lei un musicista cosmopolita, gira il mondo, ma ci tiene molto alle sue radici. E' così?
«Tutti i miei lavori hanno inizio a Bari e poi si allargano a un orizzonte più vasto. Il fatto di registrare nella mia città, Bari, ha motivazioni non solo tecniche ma anche spirituali: amo fare in modo che in musicisti che lavorano con me si incontrino e possano stabilire relazioni che vanno oltre il semplice rapporto professionale. Bari ha un'atmosfera particolare, la vita qui scorre più lentamente, è meno esagitata, i colori del cielo e del mare hanno una grande importanza; qui è bello uscire la sera e ritrovarsi intorno a un tavolo vicino al mare parlando tante lingue differenti. Tutti questi elementi entrano nella mia musica e contribuiscono a darle una particolare profondità».
Fra gli artisti che hanno collaborato all'album, alcuni sono molto conosciuti in Italia, come Fabrizio Bosso e Alice Ricciardi, altri sono molto meno noti. Come nascono queste collaborazioni?
«Alcuni artisti li ho conosciuti durante le registrazioni. Nel periodo di preparazione precedente al disco uno degli aspetti più importanti per me è la ricerca degli interpreti: nel momento in cui comincio a concepire l'album penso anche ai possibili artisti che lo interpreteranno. Mi piace relazionarmi con persone con le quali possa stabilire un contatto più profondo. Questo, poi, non è un disco pensato per l'Italia ma per una dimensione internazionale. Così, alcuni artisti che ho coinvolto sono magari poco noti in Italia ma lo sono di più in altri Paesi».
Dove compone la sua musica?
«Dappertutto: le sensazioni arrivano dovunque. Ma il momento principale della composizione avviene quasi sempre a Bari».
In alcuni brani si avverte una forte attenzione verso la spiritualità, in particolare quella orientale; parla di Shiva, Ra...
«Tutto l'album è ispirato a una musica molto spirituale, in alcuni brani questo avviene in modo più diretto con riferimenti precisi nel testo; e certamente riflette ciò in cui credo. La mia personale idea di spiritualità va oltre la singola religione: penso che uno dei grossi equivoci della nostra società sia il non aver superato l'idea della diversità fra le religioni. Ci sono differenze culturali e di genesi tra le fedi, certo, ma in ogni religione io trovo elementi e motivi per accrescere la mia conoscenza; non posso non sentirmi fratello di un buddhista o di un musulmano. Le divisioni sono posticce. Viviamo in un'epoca appiatita sul materialismo, che dà poco spazio alla spiritualità. Io personalmente avverto l'esigenza di una società che coltivi e pratichi degli ideali più elevati e profondi».
Un'altra immagine del chitarrista, compositore e dj barese (foto di Nicola Righetti).
In Italia lei è poco visibile dal punto di vista mediatico. Come mai? E' una sua scelta?
«Non voglio assolutamente essere "personaggio", in giro ce ne sono già fin troppi. Io non faccio musica di massa, popolare. Non sono un cantante e in televisione ci vanno quasi solo i cantanti. Oggi la vera avanguardia è non apparire in Tv».
Al di là della musica, quali sono le sue passioni e i suoi interessi?
«Adoro leggere, andare al cinema, fare sport, tenermi aggiornato; mi
piace stare con gli amici e perdere del tempo con loro a discutere di cose senza importanza, ad esempio se è meglio un certo disco di Charles
Mingus o l'altro di John Coltrane».
Come nasce Nicola Conte musicista?
«La chitarra classica è stata una mia passione da bambino. A un certo
punto l'ho abbandonata quando ho cominciato a fare il dj, attività che
mi ha assorbito e sulla quale ho concentrato la mia attenzione. Poi,
quando mi sono messo a comporre musica, ho sentito la necessità di
tornare alla chitarra, il mio primo amore».
Giulia Cerqueti