08/11/2011
Il chitarrista e cantautore Gianmaria Testa (foto di Paola Farinetti).
Gianmaria Testa ha una storia artistica fuori dal comune: fin da bambino ha sempre respirato musica in casa sua, a 13 anni già componeva canzoni, ma il suo primo disco è arrivato solo in tarda giovinezza, all'età di 36 anni. Autore elegante, garbato e mai sopra le righe, ha all'attivo otto dischi e numerose collaborazioni con grandi nomi del jazz italiano (come Enrico Rava e Stefano Bollani), è molto amato in Italia, in Francia (il Paese che l'ha scoperto), nel resto d'Europa e anche Oltreoceano, in Canada e negli Stati Uniti. Eppure si è sempre rifiutato di diventare "personaggio", di venire risucchiato dal circuito mediatico e televisivo, conservando la sua autonomia e libertà espressiva. Anche per questo, spiega lui stesso, fino al 2007 non ha mai abbandonato il suo mestiere principale, quello di ferroviere, che gli ha sempre permesso di avere uno stipendio fisso e di coltivare la musica più come passione che come professione.
Il suo ultimo e ottavo album nasce da uno spettacolo teatrale, 18.000 giorni - il pitone, al quale Testa ha partecipato come cantautore, ed è una raccolta di undici canzoni attraverso le quali il musicista fa una sorta di bilancio del suo primo mezzo secolo di vita: il cd avrebbe dovuto intitolarsi 18.000 giorni - come uno dei brani - che corrispondono a 50 anni, l'età che lui aveva quando cominciò a pensare al disco. Poi, però, il tempo è passato; oggi, il cantautore di anni ne ha 53 e di giorni ne ha vissuti oltre 19.000. Così, il titolo dell'album è diventato Vitamia. Dal 9 novembre Testa parte per un tour che lo vede impegnato prima nei teatri italiani (partendo da Barletta) e, da dicembre, in numerose tappe europee, in Francia, Austria, Svizzera e Germania.
Il suo nuovo album, Vitamia, è strettamente legato allo spettacolo 18.000 giorni - il pitone. Ci spiega?
«18.000 giorni - il pitone è uno monologo scritto da Andrea Bajani e interpretato magistralmente da Giuseppe Battiston, che racconta la storia di un uomo di 50 anni (18.000 giorni, appunto) che perde il lavoro e, con il lavoro, perde la sua collocazione sociale, la sua famiglia... La sua vita intera cade nel baratro. Il monologo è il racconto di una giornata di quest'uomo. Io ho scritto delle canzoni che andassero bene per il testo di Andrea. Anzi, dato che si trattava di due linguaggi espressivi diversi, la stesura del testo e quella dei brani sono andate di pari passo. Ho poi completato l'album con altre canzoni che avevo scritto: così è nato Vitamia».
Uno dei brani del cd che facevano parte dello spettacolo è Cordiali saluti.
«Sì, il titolo è mutuato da un romanzo di Andrea Bajani del 2005 che ho letto e mi ha molto colpito: è la storia di un tale che di professione fa il licenziatore e manda delle lettere infingarde cercando di convincere i licenziati di quanto sia migliore la vita senza quel lavoro. Così ho scritto questo brano che è in pratica una lettera di licenziamento infingarda e tragicomica. Il pubblico che ha riempito i teatri dovunque siamo andati usciva destabilizzato. Ma questo, del resto, era il nostro intento: non essere per nulla consolatori».
La copertina di "Vitamia", l'ultimo album di Gianmaria Testa.
Lo spettacolo, e anche il suo album, toccano un problema attuale
particolarmente inquietante: la
perdita del lavoro dei cinquantenni.
«Di tragedie purtroppo ce ne sono tante. E la cosa che dispiace di più è
che si individuano dei colpevoli assurdi, ad esempio si racconta la grande balla che gli
extracomunitari ci portano via il lavoro. La grande vittima di questi
anni di berlusconismo e di insipienza etica e morale è la verità: ci
hanno sommersi di bugie, ce ne hanno raccontate talmente tante da non
riuscire più a districarsi fra di esse. E' vero, la perdita di lavoro
dei cinquantenni è uno degli aspetti della tragedia. Ma io ho due figli
di 24 anni e per loro, i giovani, è difficilissimo immaginare un futuro. I potenti
lo sanno bene, ma quando ci sono le manifestazioni degli indignati, come
quella di Roma, tendono a nascondere le giuste ragioni».
Cosa fanno i suoi figli?
«Uno si sta laureando in Economia in Bocconi a Milano, frequenta l'ultimo anno
a San Paolo in Brasile. L'altro ha terminato la scuola di regia e adesso sta
lavorando come cameriere a Lille, in Francia: vuole andare a fare uno
stage a Montreal, in Canada, e gli hanno consigliato di arrivare lì parlando già un francese fluente. Comunque, sono tutti e due all'estero».
A proposito di Francia, lei ha un rapporto molto stretto con questo
Paese... Sono stati i francesi, prima degli italiani, a scoprire la sua musica.
«Sì, è andata così. Ma guardi, io non potrei vivere in nessun altro
posto al di fuori dell'Italia, che adoro; non riuscirei a immaginarmi altrove. Dove lo troviamo un altro Paese come
il nostro? Non c'è nient'altro di così bello, e parlo anche della
gente. Dove si trova un equilibrio di paesaggi come come quello italiano? E un mare
altrettanto bello quanto il Mediterraneo... Solo che l'abbiamo fatto diventare una
tomba. Scusi se sono un po' negativo. Ma molte mie canzoni trattano questi
temi ed è quello che sento».
Il brano 18mila giorni è dedicato a Erri De Luca, come mai?
«Gliel'ho dedicato prima di tutto per fraterna amicizia. E poi perché questo brano è una sorta di invocazione
laica affinché torni un tempo in cui si possa immaginare un
futuro. Io ed Erri abbiamo vissuto un'epoca, gli anni '70, in cui, con
tutti i distinguo del caso, ci si sentiva parte di un movimento che
aveva comunque alla base una prospettiva di cambiamento. Oggi i giovani
sono tutte monadi isolate, manca una prospettiva comune e condivisa».
Giulia Cerqueti