17/10/2011
Da noi Ryan Adams è sempre rimasto un artista di nicchia e probabilmente lo resterà anche dopo questo nuovo disco, Ashes & Fire. Ma proprio per questo vale la pena segnalarlo. È composto infatti da 11 canzoni fuori dal tempo, che avrebbero potuto benissimo essere registrate trenta o quaranta anni fa: melodie semplici, cantate con una voce soffusa e al tempo stessa calda, così come calore trasmettono gli strumenti che l'accompagnano: le chitarre acustiche innanzitutto, poi il pianoforte, l'organo hammond, il violino. Sono canzoni ideali per questa stagione autunnale, quando con i primi freddi viene voglia di godere del tepore di casa. Canzoni malinconiche, ma non tristi, che riflettono la serenità ritrovata da Adams che, dopo essersi segnalato come uno dei più promettenti cantautori del decennio passato si era un po' perso per strada, fra una vita segnata da eccessi e una produzione musicale bulimica che l'aveva addirittura portato ad avventurarsi con scarsi risultati nel territorio del metal.
Sarà la grave affezione all'orecchio che l'ha colpito costringendolo a rallentare il ritmo, sarà l'amore per moglie Mandy Moore, sarà per i consigli di quella vecchia volpe del produttore Glyn Jones (un tipo che ha lavorato con Beatles, Rolling Stones, Clash, tanto per capirsi), fatto sta che tutto il disco comunica una sincerità, una spontaneità, una freschezza inedite in Adams. Ascoltare per credere Do I wait, con il suo crescendo drammatico costruito sul dialogo fra la chitarra elettrica e l'organo hammond o la conclusiva I love you but I don't know what to say, una ballata pianistica in cui la voce di Adams si spinge fino al falsetto per poi ritrovare la quiete nel finale. In questo quadro in cui l'emozione arriva dall'essenzialità, si inserisce anche l'illustre collaborazione di Norah Jones, che partecipa con discrezione come seconda voce e pianista in tre canzoni.
Eugenio Arcidiacono