Ama il prossimo, troverai te stesso

Enzo Bianchi e Massimo Cacciari si interrogano sul Comandamento nuovo del Vangelo, in un denso saggio che chiude la serie del Mulino sui Comandamenti biblici.

23/01/2012
Enzo Bianchi è priore della Comunità monastica di Bose. Famiglia Cristiana ha presentato le sue "Lettere a un amico sulla vita spirituale" (foto:  Agf).
Enzo Bianchi è priore della Comunità monastica di Bose. Famiglia Cristiana ha presentato le sue "Lettere a un amico sulla vita spirituale" (foto: Agf).

«Ama il prossimo tuo», il Comandamento nuovo e definitivo del Vangelo, significa farsi prossimi all’altro, a chiunque incontriamo e abbia bisogno di noi. Che cos’altro sono la nascita del Bambino, l’Incarnazione, se non il farsi prossimo di Dio all’uomo?

Non dovremmo mai smettere di meditare e interrogarci sull'insegnamento contenuto nella famosa e bellissima parabola del buon samaritano. Lo si può fare in compagnia di Ama il prossimo tuo, il testo con cui il Mulino chiude la collana sui Comandamenti, affidato – come i precedenti – a due punti di vista, uno religioso e uno laico: Enzo Bianchi e Massimo Cacciari. Cerchiamo di cogliere alcune suggestioni offerte dai due autori.

L’attenzione si posa, anzitutto, sul concetto di prossimo, di colui che dobbiamo amare. Emerge la prima, dirompente novità di Cristo: conferendogli un’estensione universale, Gesù ci insegna che nessuna creatura può essere esclusa dal nostro amore. E che si tratti di un’estensione radicale, lo si capisce quando ci viene comandato di amare persino i nostri nemici. L’universalità non è astrattezza, ma, al contrario, si coniuga con la massima singolarità di chi ci è vicino, tanto chamare Dio e amare il prossimo vengono a coincidere, per cui non si può dire di amare Dio se si odia il prossimo: «Se è vero che ogni essere umano è creato da Dio a sua immagine, non è possibile pretendere di amare Dio e, contemporaneamente, disprezzare la sua immagine sulla terra» (Bianchi).

Massimo Cacciari è uno dei maggiori filosofi italiani (foto: Ansa).
Massimo Cacciari è uno dei maggiori filosofi italiani (foto: Ansa).

Nella celebre parabola, però, si attua un potente rovesciamento del concetto di prossimo: il punto centrale non è l’oggetto dell’amore, bensì il soggetto. In altre parole, amare significa farsi prossimi, avvicinarsi, impegnarsi per essere accanto all’uomo che ci è dato incontrare, in modo creativo, concreto, come è implicito nel verbo fare.

Un’utopia? Certo, se consideriamo le forze umane; una sfida, se pensiamo che così ci ama Dio. È lui il fondamento, la possibilità del nostro amore per gli altri. Sia Bianchi sia Cacciari sottolineano che l’amore così inteso supera la logica della reciprocità: amo solo chi mi ama. Ma bisogna tornare alle implicazioni di quel farsi prossimo. Il quale è realizzabile solo se e quando l’io accetta di uscire da sé stesso, dal proprio egocentrismo, per incontrare sul serio l’altro, in tutta la sua irriducibile diversità. Il fatto è che «l’amico si ferisce nell’incontro con il prossimo, e si apre per questa sua ferita, attraverso essa parla e opera» (Cacciari).

Solo entrando in relazione con l’altro l’io può definire la propria identità, diventare pienamente sé stesso. In quell’apertura al prossimo che chiamiamo amore, l’uomo va incontro ai bisogni dell’altro e insieme trova sé stesso: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).

Paolo Perazzolo
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