23/03/2012
Lo scrittore-insegnante Alessandro D'Avenia, classe 1977.
Se Alessandro D’Avenia ha scalato le
classifiche dei libri più venduti con
entrambi i suoi romanzi (Bianca come
il latte, rossa come il sangue e Cose
che nessuno sa, editi da Mondadori), è anche
perché racconta i giovani conoscendoli bene.
Insegnante di lettere al San Carlo di Milano,
è vicino a loro non solo per frequentazione
ed età (34 anni), ma pure per quei suoi desideri
d’assoluto che cultura e riflessioni adulte
non hanno intiepidito.
Non a caso, leggendo il libro del teologo
Bruno Forte Piccola introduzione alla vita cristiana
(allegato al numero
di Famiglia Cristiana in edicola), «un tema che mi è piaciuto
molto, che corre in tutto il libro e che è
tipico di Forte, è quello della bellezza», sottolinea.
«Questa via di accesso a Dio, alla fede,
alla spiritualità attraverso la porta della bellezza,
come amore che si realizza, mi sembra
una chiave fondamentale. I ragazzi rimangono
colpiti quando vedono cose belle; la bellezza
è il richiamo costante di Dio ad alzarci
in piedi. Invece noi, nella vita a volte un po’
borghesuccia che ci siamo costruiti, ci accontentiamo
dei piccoli piaceri, che sì, magari
sul momento ci riempiono un po’ il cuore,
però non sono la vera bellezza. Magari siamo
piuttosto rattrappiti su noi stessi e sulle piccole
sicurezze, ma avvertiamo un bisogno di altezza,
che poi è un bisogno di profondità».
Monsignor Bruno Forte. La sua "Piccola introduzione alla vita cristiana" è disponibile con "Famiglia Cristiana".
D’Avenia non ha mai fatto mistero della
sua fede convinta, che pure avrebbe potuto
costituire un pregiudizio negativo verso di
lui nei nostri tempi secolarizzati.
Così non è stato: forse che alla generazione
delle griffe e di Facebook interessi ancora sentir
parlare di Dio? I giovani d’oggi avvertono
il bisogno di Dio? «Assolutamente sì», risponde
sicuro l’insegnante-scrittore. «Di recente i
miei studenti mi hanno detto che percepiscono
questo bisogno, e anche che dialogano
in qualche maniera con questo Dio che
non sanno neppure bene chi sia, però non
avvertono come sensate tante proposte che
appartengono alla prassi della vita cristiana.
L’uomo è radicalmente religioso, quindi la domanda
su Dio c’è in tutti, in tutte le epoche, in tutte le culture. Nei
ragazzi questa domanda
c’è, è seppellita sotto una coltre di un milione
di cose, però è vivissima ed è sentita, anzi,
con un certo dolore. Non è una domanda
prioritaria, ma è talmente profonda che poi
ne avvertiamo il dolore, quell’eco nascosta
che ogni tanto riemerge, quando capitano cose
che scompaginano la vita quotidiana».
– A quale spiritualità sono interessati i giovani?
E quanto la vivono aderendo alla Chiesa
e ai suoi insegnamenti?
«Mi sembra che abbiano molta paura di tutto
ciò che è strutturato, ciò che minimamente
abbia sentore di regole. In questo hanno ragione,
perché se è vero che il rapporto con Dio è
la vita dello spirito in noi, ed è un rapporto
d’amore, deve esplicarsi in un modo libero,
pieno. Il problema è che, nel caso della fede
cristiana, non percepiscono come prioritario
l’aspetto amoroso del rapporto, ma quello delle
regole da rispettare, forse perché sembra
che questo abbiamo in parte insegnato loro.
Devo dire che io sono contento di questi tempi
un po’ di crisi, anche del senso della fede, perché
finalmente non basta il riceverla per semplice
tradizione, ma sta diventando sempre
più una ricerca autentica e consapevole. Allora
i ragazzi che vi aderiscono sono proprio determinati,
perché è un percorso che hanno intrapreso
consapevolmente e sono disposti a fare
sacrifici per capire e approfondire. Mi capita di
incontrare tanti giovani che fanno sul serio, affascinati
soprattutto (e qui si supera il problema
del dovere) dall’esempio di altre persone,
dai santi o semplicemente da cristiani che vivono
la loro fede in pienezza. Hanno bisogno
più di testimoni che di maestri».
Rosanna Biffi