Vi racconto i miei delfini. Coi segni

MariaGiovanna Luini, in arte Giovanna Maria Gatti, è medico oncologo e scrittore. E ha pubblicato il suo nuovo libro come video-romanzo con il Lis

09/04/2012
Helen Jarmer, prima deputato non udente del Parlamento austriaco, tiene un discorso usando il linguaggio dei segni (foto del servizio: Reuters).
Helen Jarmer, prima deputato non udente del Parlamento austriaco, tiene un discorso usando il linguaggio dei segni (foto del servizio: Reuters).

MariaGiovanna Luini, nome d'arte di Giovanna Maria Gatti, ha due vite: di giorno è supervisore scientifico della Fondazione Umberto Veronesi, con la quale porta avanti la lotta contro il cancro; di notte scrive romanzi di ottimo successo. Tra questi ultimi ricordiamo soprattutto Cosa fanno le tue mani (Historica Edizioni, 2010): l'uscita di questo libro è stata infatti accompagnata dalla pubblicazione del primo video-romanzo in Lis, la lingua dei segni. Intervistata da FamigliaCristiana.it, la scrittrice milanese si confessa a tutto campo e parla del rapporto tra medicina e letteratura.


- Scienza e letteratura sono all'apparenza due discipline abbastanza distanti...  

"La letteratura dovrebbe compenetrare l’esistenza intera, se la trattiamo come separata veniamo meno a parte della sua bellezza. Inutile citare scrittori noti a tutti che hanno conciliato medicina (e scienza) e letteratura, pensiamo piuttosto a quanta parte della creatività abbia ormai riguardato da vicino contenuti di scienza. La scienza ha contribuito alla letteratura, a ogni forma di creatività. Ed è essa stessa creatività nella sua forma più libera e geniale, lo scienziato talentuoso è colei o colui che conosce la materia ma sa spiccare il volo creando modelli differenti da verificare. Nella letteratura poi esistono libertà e regole severe, è una questione di ispirazione ma anche di professionalità: proprio come la medicina".  

- Per la rivista di critica letteraria Satisfiction cura una rubrica dove scienza e narrativa si incontrano... Com'è nata l'idea? 

"Gian Paolo Serino, direttore e ispiratore di tutta Satisfiction, mi ha proposto una rubrica. Lì per lì ho temuto che un contributo in più non avesse scopo nell’equilibrio perfetto della rivista. Poi ho pensato che uno dei punti di caratterizzazione per me è la coesistenza professionale e di passione tra medicina e scrittura. Ho deciso di provare a collaborare mettendo insieme i due aspetti di me e Gian Paolo, che è sensibile a ogni proposta, ha accettato. Per ora i pezzi nella mia rubrica sono più lenti rispetto al resto, è una lentezza voluta: credo che ognuno debba sapere chi è e cosa fa nel determinato momento storico. Sono entrata a Satisfiction con gratitudine, sorpresa e meraviglia: sto iniziando a muovermi come una feroce lettrice che, da scrittrice, si trova a misurarsi con persone da sogno. Tra l’altro porta avanti la cooperazione tra Satisfiction e la Fondazione Veronesi, basata su contenuti e su ragionamenti su temi profondi e alti che sicuramente porteranno a risultati interessanti: Gian Paolo Serino e Umberto Veronesi sono due persone libere sul serio, il loro dibattito è interessante".  

- Ha appena pubblicato il romanzo Ritorno ai delfini... Vuole parlarci di questa sua ultima fatica letteraria?

"E’ il seguito del primo romanzo che ho pubblicato, si chiamava Una storia ai delfini, edito da Creativa. Ritorno ai delfini è nato nel 2011, ha avuto inizio e termine in un mese: è una di quelle storie destinate a uscire, l’ho sentita arrivare e non ho potuto fare a meno di scriverla. Scritta quasi tutta in barca, tra gennaio e febbraio. La protagonista, Lucia, ha ripreso vita e mi ha sorpreso perché mai avrei pensato di scrivere un sequel. Lucia vive su una vecchia barca bianca, ha perso marito e figlio in un incidente e fa i conti con l’amore: lo rifiuta, è convinta di non essere capace di provarlo, non tollera il contatto con le persone. Odia se stessa e gli altri. Scrive libri e naviga, altro non le interessa. Eppure anche il dolore più tragico e profondo può rompersi, e gli accadimenti apparentemente più lontani dalla norma e dalla morale possono qualche volta fare nascere la luce. Una storia ai delfini ha avuto una vita straordinaria, le migliaia di copie vendute e l’uscita in edizione spagnola mi hanno dato tanta soddisfazione. Ai festival di editoria indipendente, che amo frequentare, la gente ricorda Una storia ai delfini come romanzo che mi caratterizza. Non so come andrà Ritorno ai delfini, ma è stato una specie di tributo alla fortuna, all’editore Creativa che ha creduto in me e ha aiutato in ogni modo possibile i miei libri, ai tanti lettori che ancora mi scrivono e mettono su Facebook commenti sul primo romanzo che ho scritto, all’amore per il mare e il contatto con i delfini che caratterizza questo pezzo di vita con mio marito Alberto".   

- Quanto è importante l'esperienza di medico per l'attività di scrittrice? 

"In generale non esiste risposta, l’esperienza di ciascuno è peculiare e unica ed è fondamentale per la scrittura. Dipende anche da cosa scrivi e perché. Per me essere medico è stato ed è cruciale. Sono medico e mi occupo di persone malate di tumore in un centro oncologico (IEO a Milano), e curo la comunicazione scientifica di questo centro: si parla di cancro, quindi, che introduce nell’esistenza della gente il terrore, l’idea della morte, l’incertezza. Mi confronto ogni giorno con realtà teoricamente indicibili, ma anche con umanità straordinaria, bellezza profondissima, speranza e sorrisi. Nessuno sa ridere bene come chi conosce il dolore. Lavorare anche come medico ridimensiona: la scrittura porta spesso a un’amplificazione delle emozioni, dei drammi, delle passioni. E gli effetti collaterali per l’umore e per la vita di relazione si notano. Geniale ma folle, in media dello scrittore si dice così. Beh, il medico non può permetterselo, e meno male. Quando entri al mio istituto e vedi malattia, dolore, drammi familiari e umani ti ridimensioni; ammetto di essere giudicata abbastanza “originale” dai tanti miei colleghi, la stranezza legata alla professione letteraria un po’ si vede. La scrittura ti libera, ti fa sputare fuori ciò che sei e non sempre ciò che sei è conforme alla media. Però medicina e oncologia sono una fonte di equilibrio notevole. E le vite che sfioro, in cui mi immergo volontariamente anche a costo di soffrire rendono le parole della mia scrittura più cariche di consapevolezza".

- Perché ha deciso di realizzare il primo videoromanzo in Lis? 

"Perché non ne esistevano. Le persone sorde non avevano romanzi interamente narrati nella Lingua dei Segni Italiana. Il problema reale è che realizzare un video ha un costo, e per ora gli editori non sono interessati a sostenerlo. La risposta standard è che i sordi possono leggere i libri, il che non è esattamente il punto. Gli udenti hanno gli audiolibri, ne esiste un mercato, perché ai sordi non possiamo dare i videoromanzi? Il numero dei sordi è circa un milione, a parte le questioni di mercato di tratta di una missione di diffusione culturale importante. Un’altra iniziativa che ho tentato di lanciare è la presenza di interpreti LIS ai festival di letteratura. Le mie presentazioni, i miei incontri con i lettori hanno tutti l’interprete LIS, non mi va che esista gente discriminata che a priori non può partecipare perché ha una disabilità. Se l’interprete può essere alle mie presentazioni perché altri autori ed editori non fanno lo stesso?".

Daniele Rubatti
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