La storia che nessuno voleva scoltare

Eraldo Affinati legge per noi "Il testimone inascoltato" di Yannick Haenel.

15/07/2010
Eraldo Affinati legge "Il testimone inascoltato".
Eraldo Affinati legge "Il testimone inascoltato".

Quello che Jan Karski vide all’interno del Ghetto di Varsavia, durante la Seconda guerra mondiale, non se lo dimenticò più: il Male umano in azione. Lui, cattolico, resistente, polacco, si sentì scosso, come impietrito di fronte alla Medusa. Ma il tentativo di rivelare l’abominio nazista, in primo luogo agli Alleati, e poi al mondo intero, fallì miseramente: i grandi della Terra, come Roosevelt, non presero sul serio la deposizione dell’agente segreto.

Chi invece gli credette, ad esempio lo scrittore Arthur Koestler, non disponeva dei mezzi necessari per diffondere il suo grido di dolore. Su questa esperienza estrema, che ci riporta nel cuore di tenebra del Novecento, Yannick Haenel, quarantatré anni, ha scritto un libro importante e controverso, diviso in tre parti: Il testimone inascoltato (Guanda). Il primo capitolo è ricavato dalla famosa intervista che Jan Karski rilasciò a Claude Lanzmann nel lungo documentario Shoah, uno dei capolavori sull’universo concentrazionario. Il secondo è una sintesi sceneggiata del libro autobiografico che il protagonista pubblicò già nel 1944, negli Stati Uniti (Story of a Secret State). Il terzo è la trasfigurazione romanzesca della vita di Jan Karski, morto a New York dieci anni fa.

Dopo la stroncatura dello stesso Lanzmann, il quale ha accusato Haenel di falsificazione storica, in Francia è nata una polemica dai toni molto accesi che, a mio giudizio, rischia di portarci fuori strada, distogliendo la nostra attenzione dal testo. Siamo di fronte a un’elaborazione narrativa, fatta a ingranaggi scoperti, cioè dichiarando le fonti, su un personaggio realmente esistito. C’è da chiedersi quale sia il vero tema del Testimone inascoltato. Certo, la solitudine tragica subita dagli ebrei d’Europa nel ventesimo secolo. Primo Levi ci spiegò che soltanto i sommersi avrebbero potuto raccontarci lo sterminio, ma tutto ciò che noi sappiamo lo dobbiamo ai salvati. La parola è quindi vana? Ogni evento che ci ferisce nel profondo non si può comunicare? Eppure, come dissero Jorge Semprùn ed Elie Wiesel, se in certi casi «parlare è impossibile», resta la consapevolezza, altrettanto forte, che «tacere è vietato».

Eraldo Affinati
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