Mo Yan, Nobel alla Cina che cambia

Il prestigioso premio per la Letteratura va a uno scrittore che ha saputo raccontare l'evoluzione impetuosa del suo Paese, mettendone in luce le contraddizioni.

11/10/2012
Mo Yan alla Fiera di Francoforte (Ansa).
Mo Yan alla Fiera di Francoforte (Ansa).

Il Nobel alla Letteratura a Mo Yan è il Nobel a una Cina lanciata a diventare potenza planetaria, ma non esente da contraddizioni che toccano in profondità l'aspetto politico e sociale del Paese. Per la sua storia personale e per l'opera letteraria che ha pubblicato, lo scrittore è davvero la sintesi perfetta di uno straordinario cambiamento, pieno di chiaroscuri, avvvenuto in un arco temporale limitato.

Mo Yan è nato 57 anni fa a Gaomi, nella provincia dello Shandong, da una famiglia numerosa di contadini. Ha abbadonato presto gli studi per portare al pascolo mucche e pecore. Nel '76, ha lasciato il povero paese natale per arruolarsi nell'esercito, facendo carriera e diventando scrittore. Solo nel '97 si è congedato dall'esercito e ha iniziato a lavorare per un giornale, mentre si laureava e specializzava in Letteratura a Pechino. Iniziò a pubblicare nel 1981.

La sua opera più famosa è indubbiamente Sorgo Rosso, una storia epica che si staglia sullo sfondo degli sconfinati campi di sorgo e che spazia dal banditismo degli anni Venti fino al periodo che precede la Rivoluzione culturale. È il racconto delle avventure del bandito Yu Zhan'ao e della sua famiglia in un affresco che riesce a ritrarre un popolo intero. Da questo libro il regista cinese Zhang Yimou ha tratto il film omonimo, Orso d'oro al festival di Berlino del 1988. E in questo classico della letteratura cinese contemporanea già si annuncia la cifra stilistica di Mo Yan: la convivenza di descrizioni intrise di crudeltà, odio, ferocia con tocchi poetici ed elegiaci.

Un altro testo di grande valore è L'uomo che allevava i gatti, che Famiglia Cristiana propose ai lettori nel 1998 per la serie "Gli scrittori del '900 mondiale": nella Cina di Mao, una raccolta di racconti che denunciano, semplicemente descrivendole, le storie di bambini vittime della disumanità della politica, costretti ad affrontare la storia nonostante l'età.

A differenza di Gao Xingjian, il cinese che vinse il Nobel per la letteratura nel 2000, e di Liu Xiaobo, Nobel per la pace nel 2010 che sta scontando una condanna di 10 anni per aver criticato il sistema del partito unico, non si può dire che Mo Yan sia un dissidente o uno scrittore "politico". Non nel senso comune dell'espressione, almeno, perché in realtà l'intera sua opera è pervasa da una costante attenzione ai drammi e alle contraddizioni di un Paese che, in nome del progresso e a causa di un regime antidemocratico, sacrifica i valori umani e civili. Soltanto, Mo Yan non attua una critica "esplicita", ufficiale, ma la realizza assolvendo in maniera radicale la sua missione di scrittore: raccontando cioè ciò che accade intorno a lui. Nel suo recente libro Rane, ad esempio, mette sotto accusa le crudeltà e le atrocità a cui conduce la politica del figlio unico: anche qui, è la forza della narrazione a farsi denuncia.

C'è un po' d'Italia, in questo Nobel alla Letteratura: il Premio Nonino aveva visto bene, nel 2005, quando gli aveva assegnato il Premio Internazionale e Claudio Magris aveva spiegato che si trattava di "uno scrittore universale", capace cioè di farsi voce dei sentimenti e dei problemi degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo, calandosi nella tumultuosa realtà cinese. La sua opera è pubblicata in Italia da Einaudi.

Paolo Perazzolo
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