Quel vento che distrugge l'amore

Perissinotto racconta come un'errata concezione della tradizione possa tramutarsi in un pericoloso rifiuto dell'altro: il romanzo che i leghisti dovrebbero leggere.

11/05/2011
Alessandro Perissinotto è docente all'Università di Torino. Autore di diversi saggi, è approdato alla narrativa nel 1997 con "L'anno che uccisero Rosetta". Con "Al mio giudice" nel 2005 ha vinto il Grinzane Cavour.
Alessandro Perissinotto è docente all'Università di Torino. Autore di diversi saggi, è approdato alla narrativa nel 1997 con "L'anno che uccisero Rosetta". Con "Al mio giudice" nel 2005 ha vinto il Grinzane Cavour.

   Ecco il romanzo che i leghisti dovrebbero leggere: Semina il vento (Piemme), di Alessandro Perissinotto. Il libro si divide di fatto in due parti, distinte. La prima descrive l'incontro e l'innamoramento fra Giacomo Musso e la fascinosa Shirin. Lui è un giovane italiano che lavora a un museo di Parigi, dove si occupa di divulgazione scientifica per l'infanzia. Lei è una ragazza di origini iraniane, ma nata e cresciuta nella capitale francese, dove erano emigrati i genitori in fuga dalla rivoluzione islamica. La seconda racconta il trasferimento della coppia a Molini, sulle montagne piemontesi, paese d'origine di lui, e la lenta, ma inesorabile distruzione del loro amore, a causa dell'odio, dell'ottusità, della grettezza della gente locale.

   Tanto è magico, sereno, persino tenero il racconto della relazione d'amore fra i due giovani, quanto è tragica, spietata e crudele la seconda. La coppia decide di lasciare la grande città per il paesino per il desiderio di trovare una "casa", nel senso più ampio del termine, ovvero un luogo che li accolga, che li faccia sentire in un ambiente familiare. E' quasi più Shirin a contribuire alla decisione, forse perché attratta dal desiderio di vivere finalmente in un luogo che possa - attraverso il marito - sentire suo, che le consenta di avere finalmente delle radici: vive in Francia, ha una cultura e una formazione occidentali, ma le sue origini sono tutte in Iran, un Paese di cui sa poco o nulla.

   Il modo in cui Perissinotto spinge la sua lama nell'ambiente del piccolo paese piemontese è efficace e duro. L'inserimento di Shirin sembra dapprima funzionare a meraviglia, e i due possono vivere una vera e propia luna di miele. La ragazza diventa addirittura voce solista nel coro locale, che vanta un repertorio legato alla tradizione, interpretato con costumi altrettanto tradizionali. Giacomo diventa il maestro di paese, pagato dai concittadini che vogliono mantenere viva una scuola locale. Ma è solo un momento di sereno prima della tempesta. Per ironia della sorte, è proprio dal coro che arrivano i primi problemi: un sindaco leghista di un paese in cui dovrebbe esibirsi, non vuole che sia Shirin, pur sempre una straniera, a interpretare quella parte da solista: che c'entra un'immigrata con la tradizione locale?

   Tralasciamo i passaggi successivi, storia di un'incomprensione radicale prima fra la gente del luogo e la nuova coppia, poi fra gli stessi marito e moglie. Diciamo solo che Perissinotto è molto abile nel restituire le sfumature e le contraddizioni di questa terribile degenerazione. Merita invece una considerazione l'analisi del concetto di tradizione, vera chiave della vicenda e del libro. A ben guardare, tutti i personaggi in scena sono attratti da questa parola, e hanno bisogno di ciò che rappresenta: la casa, la famiglia, un paesaggio in cui riconoscersi, una lingua e costumi da amare, vicini a cui fare affidamento...

   Giacomo torna al paese perché è convinto che la tradizione serva da fondamento, sul quale costruire un edificio in grado di aprire finestre sull'esterno, sull'altro, e mettersi in dialogo con lui, in un'ottica di tollerenza e di scambio. E' quello che cerca di insegnare ai suoi alunni. Senza patria, Shirin cerca un ambiente che la accolga e che possa sentire suo: per lei, è un luogo d'elezione, cioè scelto consapevolmente, e la sua partecipazione entusiasta al coro ne testimonia lo spirito. Ma c'è anche chi intende in maniera diversa, e drammaticamente distorta, la tradizione: come qualcosa da mantenere puro preservandolo dal contatto con gli altri, con le altre tradizioni, come se potessero sporcarla o distruggerla. Altra parola chiave è identità: per i cittadini di questi paesi piemontesi e i loro amministratori, da costruire nel rifiuto del diverso, sempre e comunque corrotto e corruttore. Dove porti questa politica, questa visione del mondo, lo mostra bene il romanzo di Perissinotto.

Paolo Perazzolo
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Postato da frassinello il 11/05/2011 14:47

Vorrei prendere lo spunto da questa recensione per fare alcune considerazioni. Francamente non condivido tutto il vostro livore contro la Lega. Temo che sia più formale che sostanziale. Una specie di riflesso condizionato: l'accoglienza sempre e comunque come se chi governa un Paese dovesse seguire regole di un'etica che è personale (le opere di misericordia) e non invece pensare PRIMA DI TUTTO al bene dei suoi concittadini. Ho letto molti vostri interventi sulla "necessità dell'immigrazione", ma mi pare che confondiate le necessità specifiche (la manodopera che manca) con quelle generiche (tutti entrino in Italia liberamente anche se possono provocare problemi di varia natura). Preferisco stare ai fatti. Sulla Libia mi sembra che la Lega abbia dimostrato molto buon senso e nervi saldi, ha detto cose magari sgradevoli ma non infondate, non ha provocato crisi di Governo e probabilmente avrà ragione sui tempi certi di fine del conflitto. Nella lotta alla criminalità organizzata, con buona pace di Saviano, il suo ministro sta facendo molto di più di tutti i suoi predecessori e se qualcuno tira fuori la litania che "il merito è dei magistrati e dei poliziotti" allora d'ora in avanti non bisogna mai più criticare un Governo se l'opera di repressione dei crimini lascia a desiderare. O è meritevole quando le cose vanno bene o non è colpevole quando vanno male. In Ungheria, in Finlandia, in Francia dilagano partiti di estrema destra molto inquietanti. La Lega non lo è, anche se le parole possono a volte ingannare. A parte qualche deficiente folcloristico come Borghezio, ma sono solo espressioni verbali, non c'è un solo episodio di razzismo o di violenza che possa essere fatto risalire ai seguaci di Bossi. Che, a mio parere, avrà ragione anche nella sua battaglia sul federalismo. La norma che caccia dalla politica gli amministratori che non rispettano i costi standard dei servizi (cioè non può costare 150 a Napoli quello che costa 100 a Milano) è il provvedimento di gran lunga più moralizzatore della politica dalla nascita della Repubblica. Solo per fare un esempio. Vi prego, non sto dicendo che tutto quello che propugna la Lega è da condividere, come opinabili sono le proposte di tutti i partiti, però non bisogna avere un atteggiamento pregiudiziale e, spesso, superficiale. Vi sarei grato se non cestinaste questo intervento, non perché mi ritenga infallibile, ma perché mi piacerebbe conoscere il Vostro parere e quello degli altri lettori.

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