18/02/2012
In copertina e nel servizio alcune scene dell'Aida di Giuseppe Verdi in cartellone al Teatro La Scala .
Che le cose non si mettessero nel modo migliore per la ripresa della storica Aida del 1963 che è andata in scena alla Scala, è stato chiaro sin dai primi dieci minuti, quando un silenzio tombale è caduto sul si bemolle conclusivo di Celeste Aida, che il Radames spagnolo di Jorge De Leon aveva intonato con baldanzosa sicurezza (ma con esiti discutibili). Gli si erano poi unite due voci “vibrate”, l’Aida ucraina di Oksana Dyka e l’Amneris canadese di Marianne Cornetti, nel dare vita al robusto terzetto che fissa emblematicamente, sino alla fine dell'opera verdiana, i termini del rapporto amore-gelosia.
Per l’occasione la bacchetta è stata affidata alle mani professionali di
Omer Meier Wellber, assistente di Barenboim, che tuttavia non è uscito
indenne dalla contestazione di parte del pubblico.
È stata dunque la parte visiva ad attrarre l’interesse di pubblico e
critica. Si trattava, infatti, di rendere omaggio a Franco Zeffirelli,
che nel 1963 firmò una regia memorabile, qui mediocremente ripresa da
Marco Gandini. «È un mio allestimento», ha dichiarato Zeffirelli, «che a
distanza di mezzo secolo sopravvive e viene periodicamente riproposto
con l’aura religiosa riservata a uno spettacolo di culto. Questa Aida,
con le scene di Lila De Nobili, viene considerata da tutti di
eccezionale valore storico».
Giusto. Peccato però che a un così straordinario contenitore non abbia
corrisposto un contenuto adeguato, attestandosi tutto su un’aurea mediocritas.
Già ho detto di Aida e Amneris: due volonterose professioniste e nulla
più. Buon terzo è il tenore, che ha al suo attivo una voce di notevole
prestanza e di sufficiente squillo, ma i cui risultati artistici non
sono pari alle attese. È un giudizio che va distribuito sull’intera
produzione, e non mi sembra il modo migliore per preparare il ricco menu
verdiano (e wagneriano) che attende la Scala nel 2013.
Giorgio Gualerzi