Teatro, Giulio Cesare muore in diretta

Nel suo primo incontro con Shakespeare, Carmelo Rifici, allievo di Ronconi, trasforma il palcoscenico in un set televisivo e riflette in modo efficace sulla crisi delle istituzioni.

13/04/2012
Massimo de Francovich è Giulio Cesare (foto Marasco).
Massimo de Francovich è Giulio Cesare (foto Marasco).

Per il suo primo Shakespeare, Carmelo Rifici, allievo di Luca Ronconi e oggi tra i registi più affermati della nuova generazione, sceglie Giulio Cesare e, con l’intervento del drammaturgo Renato Gabrielli, lo ambienta ai nostri giorni, facendo una più ampia riflessione sulla crisi dello Stato, tema universale e sempre attuale. Shakespeare ripercorre il mito romano di Giulio Cesare che, mentre sta trasformando la Repubblica in impero, viene ucciso dai congiurati, guidati da Cassio e da Bruto, suo figlio adottivo, diviso tra l’affetto per Cesare e il pericolo che lo stesso Cesare rappresenta per Roma.

A loro si oppone Antonio che, nel suo celebre discorso sul cadavere di Cesare, esempio di demagogia, trasforma l’opinione popolare da favorevole a contraria ai congiurati. Nell’idea registica di Rifici, Antonio (Danilo Nigrelli) parla alla folla, tra grida di acclamazione registrate, come se fosse in uno studio televisivo, con un assistente che gli porge l’acqua, mentre le persone che sono entrate in scena passando in mezzo alla platea per chiedere spiegazioni sulla morte di Cesare, si sono sedute a gruppi su poltrone come se fossero nelle loro case di fronte alla propria televisione a commentare l’accaduto. La tragedia segue poi le sorti di Bruto e Cassio fino alla battaglia di Filippi, in cui si danno la morte. Non appaiono combattimenti, ma nelle asettiche stanze dei quartieri generali dei militari al fronte i congiurati in divisa leggono i dispacci con le notizie degli scontri.

Una suggestiva scena del "Giulio Cesare" di Carmelo Rifici foto Marasco).
Una suggestiva scena del "Giulio Cesare" di Carmelo Rifici foto Marasco).

Nell’allestimento di Rifici spariscono infatti tutti i luoghi aperti, come anche il foro romano: tutte le discussioni avvengono in un labirinto di stanze, tese a simboleggiare le stanze del potere, che si aprono e si chiudono, grazie al meccanismo scenografico ideato dallo stesso regista, insieme a Marco Rossi, per indicare che il popolo è escluso dalle decisioni importanti della vita politica. Inoltre, tutti gli attori sono in abiti contemporanei e in particolare gli esponenti del potere vestono gessati blu con cravatte rosse poiché, secondo Rifici, così viene solitamente rappresentata in modo stilizzato l’icona del potere.

I nuclei innovativi attorno ai quali ruota lo spettacolo sono: l’aspetto pubblico, costituito dal cast di 23 attori, attivamente coinvolto nel rappresentare le impressioni del popolo di fronte al rischio di una svolta autoritaria del potere; la sfera privata evidenziata dagli interessi personali di Cesare, Bruto, Cassio ed Antonio che agiscono per sé stessi e non per il bene del popolo, con indiretti riferimenti all’attualità politica del nostro Paese. Ampio spazio viene attribuito alla componente magica: infatti Cesare sente le profezie di un indovino (Max Speziani) che gli annuncia di guardarsi dalle Idi di marzo, giorno in cui viene poi ucciso e non ascolta la moglie Calpurnia (Giorgia Senesi) che gli vuole impedire di andare in Senato perché ha fatto un sogno premonitore, tra luci fioche per suggerire un’atmosfera cupa tra pareti dipinte di rosso come il sangue. Anche l’indovino appare in abiti rossi e in un teatrino con il sipario rosso, annuncio della morte sanguinosa.

L’indovino diviene tramite tra la classe dirigente e il potere sovrannaturale in cui spesso si confida nei momenti di crisi del Governo: emerge così una componente irrazionale che agita gli uomini rendendoli manipolabili quando vedono che i presagi di sventura si avverano. Massimo de Francovich rappresenta Giulio Cesare come un uomo fragile che, intuita la fine, si consegna volontariamente ai suoi carnefici, senza arroccarsi nella difesa a oltranza del suo potere; Marco Foschi è un sofferente Bruto, indeciso quasi in modo amletico tra il bene che vuole a Cesare e il bene di Roma, ma appare determinato nella decisione di suicidarsi sulla propria spada. Danilo Nigrelli come Antonio utilizza le tecniche dei moderni comunicatori per ingraziarsi il favore delle folle modificandone l’orientamento, modulando i toni di voce dalla rabbia alla commozione. Sergio Leone è un determinato Cassio, vera anima della congiura che incita i compagni alla lotta per la libertà.

Una scena di gruppo dello spettacolo (foto Marasco).
Una scena di gruppo dello spettacolo (foto Marasco).

Le scene più celebri vengono rappresentate con le battute originali ma in un’atmosfera rarefatta così da sembrare surreali come la scena dell’uccisione di Cesare tra fiotti di sangue che sgorgano sulla camicia bianca ad ogni coltellata e grandi fari luminosi rivolti verso la platea, o la scena in cui Antonio su un palchetto da convention celebra l’orazione funebre di Bruto, diventato «il romano più nobile tra tutti i cospiratori», rivolgendosi a spettatori seduti davanti a lui, ma pronti poi ad alzarsi per girarsi verso il pubblico e riceverne gli applausi.

DOVE & QUANDO
GIULIO CESARE, di William Shakespeare, traduzione di Agostino Lombardo, regia di Carmelo Rifici, ideazione e progetto scenico Marco Rossi e Carmelo Rifici, luci di A. J. Weissbard, costumi di Margherita Baldoni, musiche di Daniele D’Angelo, adattamento drammaturgico di Renato Gabrielli. Con (in ordine alfabetico) Ivan Alovisio, Marco Balbi, Giulio Baraldi, Elio D’Alessandro, Leonardo De Colle, Massimo De Francovich, Angelo De Maco, Pasquale Di Filippo, Gabriele Falsetta, Marco Foschi, Tindaro Granata, Sergio Leone, Danilo Nigrelli, Rosario Petix, Francesca Porrini, Federica Rosellini, Giorgia Senesi, Max Speziani, Angelo Tronca.
Al Piccolo Teatro Strehler di Milano, dal 12 aprile al 6 maggio 2012. Info: tel. 848/80.03.04, www.piccoloteatro.org

Albarosa Camaldo
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