13/08/2012
La scenografia cinematografica e i bellissimi costumi d'epoca di "Ciro in Babilonia" al Rossini opera festival di Pesaro (foto: Studio Amati Bacciardi).
Prima opera rossiniana approdata sulle tavole di un palcoscenico (a Ferrara, nel marzo 1812, quando Gioachino aveva appena compiuto vent’anni), Ciro in Babilonia non nasconde una natura di dramma sacro d’ispirazione biblica sostanzialmente statico, che ne rende problematica la messa in scena. Inoltre c’è da superare l’ostacolo costituito dalla dovizia di recitativi, di ardua esecuzione ma che ingenerano noia nell’ascoltatore.
Davide Livermore è riuscito nel non facile compito, creando per il Rossini opera festival di Pesaro (ROF) uno spettacolo originalissimo, intelligente e molto godibile. Ciro in Babilonia viene trasformato in un film degli albori della cinematografia italiana, con trucco pesante, parrucche, barbe posticce, una gestualità volutamente caricata e magnifici costumi “d’epoca”, vivacissimi benché basati solo sull’accostamento di bianco e nero. Il tutto condito da spezzoni tratti dal mitico Cabiria e da altre pellicole peplum di quegli anni: un omaggio affettuoso giocato sul filo dell’ironia elegante, senza intenti dissacratori e nel pieno rispetto della musica rossiniana.
Riproporre un’opera come questa presuppone la disponibilità di una
compagnia adeguata a reggere le non poche difficoltà disseminate lungo
il cammino delle tre parti principali. Innanzitutto un tenore di
primissimo rango, capace di padroneggiare appieno la vertiginosa
tessitura della parte di Baldassarre, proiettata contemporaneamente
verso i vertici acuti della coloratura e le quasi inaccessibili zone del
registro basso.
L’americano Michael Spyres si è presentato con le carte
in regola per l’arduo impegno di autentico baritenore, lasciando
intravedere la possibilità per il ROF di riprororre a breve scadenza la
storica diarchia tenorile Merritt-Blake nelle persone di Spyres e del
collaudatissimo Florez.
Bravissima Jessica Pratt (Amira), che nell’aria patetica del secondo
atto ha offerto un saggio esemplare di virtuosismo espressivo. Terza fra
cotanto senno merita un’ampia citazione la polacca Ewa Podles,
finalmente approdata a un appuntamento prestigioso del ROF dopo alcune
presenze marginali. Non dirò che la Podles sia stata un Ciro prossimo
alla perfezione: ovviamente la voce risente di oltre trent’anni di
carriera impegnativa, denuncia qua e là asprezze timbriche e
diseguaglianze di emissione, e l’interprete a volte palesa un’eccessiva
aggressività. Tuttavia la Podles affronta con spavalda sicurezza la
scrittura rossiniana, impressionante nella sua estensione, venendone a
capo con tale abilità da meritarsi una prolungata ovazione da parte del
pubblico.
Ottimo il resto della compagnia, assemblata con una cura tale da
resentare la perfezione: Carmen Romeu (soprano spagnolo da seguire con
attenzione), Mirco Palazzi, Robert McPherson e Raffaele Costantini.
Grazie anche alla stimolante presenza sul podio di Will Crutchfield, un
direttore americano prestato dalla musicologia, questo Ciro in Babilonia
è risultato un’opera apprezzabile più di quanto meriti il suo valore
intrinseco, senza dubbio una valida acquisizione al repertorio del ROF.
Repliche il 16, 19 e 22 agosto. Info: www.rossinioperafestival.it
Giorgio Gualerzi