Un'italiana a Cannes

Giovanna Mezzogiorno è nella giuria della 63ma edizione della prestigiosa rassegna.

13/05/2010
Giovanna Mezzogiorno è giurata a Cannes.
Giovanna Mezzogiorno è giurata a Cannes.

Bella con l’anima. Avrebbe potuto sfruttare il nome di famiglia: suo padre Vittorio Mezzogiorno fu l’eroe di due serie Tv della Piovra, nonché interprete di bei film (Café Express con Manfredi) e soprattutto grande attore di teatro (il Mahabharata di Peter Brook). Poteva puntare su una carriera commerciale, specie dopo il clamoroso successo ottenuto con L’ultimo bacio di Gabriele Muccino. Poteva cercare le solite scorciatoie del mondo dello spettacolo, facendo leva sulla sua raffinata bellezza. Invece Giovanna Mezzogiorno ha salito, con fatica e con merito, un gradino dopo l’altro partendo dalla dura palestra di recitazione proprio con Peter Brook a Parigi.

L’esordio poi sul grande schermo, nel 1997, con Sergio Rubini in Il viaggio della sposa. Da allora ha inanellato una trentina di film, compiendo scelte coraggiose che ne hanno messo in risalto bravura e sensibilità artistica. Qualche titolo? La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek (David di Donatello), Ilaria Alpi: il più crudele dei giorni (Nastro d’Argento), La bestia nel cuore di Cristina Comencini (Coppa Volpi a Venezia), L’amore ai tempi del colera di Mike Newell da Gabriel García Márquez, il discusso La prima linea di Renato De Maria. La grande passerella internazionale l’anno scorso, a Cannes, nel ruolo di Ida Dalsèr, prima moglie di Mussolini, in Vincere di Marco Bellocchio. Un peana di elogi culminati nelle scorse settimane, per l’uscita negli Usa, con i lusinghieri commenti dei critici americani. Adesso la consacrazione: Thierry Frémaux e Gilles Jacob, boss del Festival di Cannes, l’hanno voluta tra i membri della giuria, guidata dal regista statunitense Tim Burton, che deciderà il Palmarès della 63ª edizione, in programma dal 12 al 23 maggio.
 
Un’attestazione di stima a livello mondiale. «Sono davvero felice di tornare a Cannes. La soddisfazione è immensa», ammette con gli occhi che le brillano la fascinosa Giovanna, 35 anni. «Prima d’ora non avevo mai fatto la giurata a un festival così importante. Nella vita ho sempre puntato a fare cose nuove, esperienze che mi permettessero di migliorare sia sul livello professionale sia su quello umano. Questa è un’occasione unica». Diverso, certamente, lo stato d’animo con cui la Mezzogiorno tornerà sulla Croisette. E anche se galà e montée des marches si moltiplicheranno, lei non si spaventa: «Rispetto all’anno scorso sono più rilassata. Quando sei in concorso con un film, senti addosso molta pressione. Trascorri due giorni di follia, lavori senza tregua», racconta l’attrice, che in questi giorni è nei cinema con Basilicata coast to coast, opera prima dell’amico Rocco Papaleo, e a fine maggio raddoppierà con Sono viva, noir alla Dylan Dog di Filippo e Dino Gentili.
 
«Come giurata non avrò altra preoccupazione se non quella di dover giudicare i film che vedrò. E non credo ci sia una tecnica per farlo. Prevarrà il lato estetico di ciascuna opera: l’interpretazione, la sceneggiatura, la regia. Ma soprattutto conterà per me la capacità di comunicare un’emozione che mi porti in mondi che non conosco». Assegnare riconoscimenti non è cosa da prendere alla leggera, almeno se ci si crede. «Io ho sempre detto che non disdegno affatto i premi, li considero un attestato di stima da parte di gente competente», chiarisce Giovanna che, prima di volare a Cannes, potrebbe stringere tra le mani il suo secondo David di Donatello (cerimonia fissata il 7 maggio).
 
«Ciò che realmente mi riempie di gioia sono le 15 candidature totali ottenute da Vincere. L’incontro con Marco Bellocchio ha cambiato i miei parametri per la recitazione». Papà Vittorio sarebbe fiero del suo successo. «In adolescenza il nostro rapporto era difficile. L’ho recuperato in extremis, prima che morisse», confessa Giovanna che a lui ha dedicato il documentario Negli occhi, appena uscito in Dvd. «Non dava troppa importanza a certe cose. Ma sarebbe contento del mio impegno. Dell’amore e del rigore con cui faccio un mestiere che lui viveva come missione».

Maurizio Turrioni
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