Alberto Alessi - Le fabbriche dei sogni

Il Triennale Design Museum di Milano viene ripensato ogni anno da un personaggio illustre. Alberto Alessi cura la quarta edizione.

04/04/2011
La macchina da scrivere Lettera 22 di Marcello Nizzoli e Giuseppe Beccio è stata prodotta da Olivetti nel 1950.
La macchina da scrivere Lettera 22 di Marcello Nizzoli e Giuseppe Beccio è stata prodotta da Olivetti nel 1950.

     Nel suo catalogo vi sono oggetti per la tavola come la serie Girotondo firmata da Stefano Giovannoni che ha venduto circa sette milioni di pezzi, lo spremiagrumi di Philippe Starck, diventato il simbolo del design anni ’90 e il bestseller Anna G, il cavatappi disegnato da Alessandro Mendini. Ma il pezzo a cui tiene particolarmente è la caffettiera espresso 9090 di Richard Sapper del 1979: un personale omaggio al nonno materno, Alfonso Bialetti, l’uomo coi baffi che con la sua moka ha cambiato il modo di bere il caffè. Alberto Alessi, architetto, dal 1970 dirige l’azienda di famiglia fondata dal nonno Giovanni, ex fonderia a Crusinallo in Piemonte, e l’ha radicalmente trasformata chiamando a raccolta i più bei nomi del panorama internazionale dell’architettura e del design facendogli ideare prodotti per la casa.

     A lui è stata affidata la cura della quarta edizione del Triennale Design Museum di Milano che quest’anno celebra il cinquantenario del Salone del mobile. Nel suo museo dal bel titolo Le fabbriche dei sogni, racconta la storia della nostra industria valorizzando soprattutto il ruolo degli imprenditori.
 
     Ci sono circa 250 pezzi, da oggetti di culto come la macchina da scrivere Lettera 22 di Nizzoli e Beccio prodotta da Olivetti (1950) alla lampada Arco di Castiglioni prodotta da Flos (1962), dalla poltrona Sacco di Piero Gatti e Cesare Paolini per Zanotta (1968) al letto Nathalie di Vico Magistretti per Flou (1978).

     - Lei ha portato molti architetti a esplorare il mondo del design, ad aggiungere il valore della progettualità agli oggetti d’uso più comune. Chi ricorda in particolare? 
     "Con Ettore Sottsass ho iniziato la mia riflessione sul valore etico del design e sul ruolo dell’industria nella società dei consumi. Alessandro Mendini è più che un maestro. Formativi per me sono stati anche Achille Castiglioni, Aldo Rossi, Michael Graves, Bob Venturi, Andrea Branzi, Enzo Mari, Philippe Starck. Mi sento imprenditore di uno studio di ricerca nel campo delle arti applicate piuttosto che di un’industria in senso canonico. Un laboratorio aperto a tutti, dove si lavora con perseveranza. E la nostra missione non è solo di realizzare oggetti d’uso quotidiano, ma anche soddisfare desideri e sogni del nostro pubblico". 

     - Come è articolato il suo museo?
     "In 12 capitoli viene narrata l’evoluzione delle fabbriche del design italiano nelle sue principali tappe, dal dopoguerra a oggi, con l’obiettivo d’illustrare la relazione tra gli oggetti e l’industria, il pubblico e la società. Il tutto in una dimensione teatrale".

     - A Martí Guixé, designer e scenografo spagnolo, ha affidato il progetto d’allestimento...
     "Martí Guixé ha messo in scena, in modo poetico, una delle avventure di Alice nel paese delle meraviglie: gli oggetti entrano in dialogo con i progettisti e le storie dei grandi uomini d’impresa in un’atmosfera lieve".

     - Come è stato guidato nella scelta degli oggetti?
    
"L’idea che gli oggetti siano in realtà “soggetti”. Essi sono vite, mani, idee. Raccontano la storia di chi li ha progettati, voluti, maneggiati. Quelli in mostra sono vari, dai più comuni ai più improbabili: successi e insuccessi che noi abbiamo sperimentato nel tentativo di toccare l’immaginario".


Il museo d’autore cambia negli anni

     Il Triennale Design Museum di Milano ogni anno cambia pelle con una nuova interpretazione di ciò che è il design nel nostro Paese, affidando la cura scientifica a un personaggio di prestigio. Questa formula, ideata dalla direttrice del museo, l’architetto Silvana Annichiarico, e supportata dal comitato direttivo e scientifico della Triennale, sta per essere adottata da altri musei del design nel mondo (anche il Design Museum di Londra sta ideando un museo mutante), ma quello di Milano rimane l’unico che di volta in volta cambia non solo gli oggetti ma contenuto scientifico, ordinamento, racconto, allestimento. 

     Dopo l’escursione nella storia compiuta nel 2007, gli oggetti “Serie e Fuoriserie”, espressione della produzione industriale, ma anche dell’alto artigianato (2009), e “Quali cose siamo” (2010), nella quarta edizione i protagonisti sono “Le fabbriche dei sogni”. «Il museo precedente proponeva una raccolta di creatività, riflettendo sulle relazioni che stabiliamo con gli oggetti», spiega Silvana Annichiarico, «mentre la nuova edizione riporta l’attenzione sulle persone, valorizzando il ruolo degli imprenditori: quei “capitani coraggiosi” che ispirandosi al modello dell’homo faber e assumendosi il rischio dell’impresa hanno reso possibile e concreta l’affermazione del design italiano. In un allestimento da fiaba si snoda un’avventura raccontata da Alberto Alessi, dal punto di vista dell’imprenditore illuminato qual è, attraverso realtà piccole, ma con alti ideali culturali che hanno saputo sposare la tecnica con la poesia e l’arte, sempre dialogando con il progettista. È l’unica impresa manifatturiera, quella italiana, capace di attirare talenti da tutto il mondo».

Ginevra Petrolo
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