L'Italia delle sagre - Zibello

Nel paese di don Camillo e Peppone, il culatello è servito per rilanciare l'economia locale. Nel nome della tradizione.

01/06/2010
Massimo Spigaroli, specialista del culatello.
Massimo Spigaroli, specialista del culatello.

Le dita della Gina avrebbero potuto volaresulla tastiera di un pianoforte se avessero trovato un estimatore; ma arrivarono prima sua nonna e sua madre, tabacchine della Bassa, che le insegnaronoa far volare l’indice sugli gnocchetti di acqua e farina in modo tale da ottenere quel ricciolo che fa dello gnocchetto un pisareo. «Pisarei e fasoi», ridono allegramente Gina e le altre volontarie di Zibello, provincia di Parma, all’opera da qualche settimana per preparare i pisarei in vista della sagra di sua maestà il culatello, l’autentico principe dei salumi della Bassa, che chiude trionfalmente il 2 giugno nel paesino parmigiano famoso ormai in tutto il mondo.

     «Sono arrivati anche i giapponesi», racconta il sindaco di Zibello Manuela Amadei.«Hanno girato un documentario e prodottoun Dvd che ha avuto un successo strepitoso in tutto il Giappone. E anche un fumetto che ha per protagonisti Massimo Spigaroli, patron della Corte, creatore del Consorzio del culatello e inventore del November Pork, e la Miriam del vecchio ristorante La Buca, figliadella Zaira, indimenticabile cuoca, e padrona di quella che nacque originariamente come osteria di campagna».

Alla Buca ci andava Giovanni Guareschi, perché la Zaira gli aveva lasciato una stanza dove lo scrittore scriveva i dialoghi del primo film su Peppone e don Camillo. Fu proprio dagli aneddoti della donna che lo scrittore trasse Mondo piccolo, il racconto poi fu inserito nella sceneggiatura de Il ritorno di don Camillo. «Un “mondo piccolo”», racconta ManuelaAmadei, «che dalla recente fama acquisita persino in Giappone fa pretesto di risate invernali, soprattutto quando arrivarono i turisti nipponici e a tutti i costi vollero l’autografo di un nostro compaesano che fu riconosciuto perché era fra quelli che comparivano nel documentario».

     La retorica del paesino che conserva i valori nonostante la fama mondiale lascia il tempo che trova. È chiaro che le cose sono cambiate, ma non abbastanza da mutarle definitivamente. Lo leggi nelle battute della Gina e delle altre donne. Le loro sono le risposte che ti danno tutte le altre Gine dei paesi italiani, le donne delle Pro loco: «Siamo volontarie perché ci piace fare qualcosa per Zibello e per stare insieme a fare festa, sennò il paese muore». Perché loro sono convinte che, se non fanno pisarei e fasoi, il paese muore davvero. Lo leggi nei silenzi e nelle parole faticate di Massimo Spigaroli, che della fama di Zibello è creatore e inventore. Lui sta alla Corte, rocca che fu della famiglia Pallavicino, dove suo padre, suo nonno e suo bisnonno furono affittuari coltivando granturco e lavorando la carne dei maiali. «Ma io questo posto lo conoscevo dai racconti di casa. Quando nacqui la mia famiglianon lavorava più qui. Eravamo nei dintorni a fare salami e ristorazione di qua e di là del Po, servizio di traghetto incluso. Nonno diceva sempre: “Sono buoni i nostri culatelli, ma quelli che facevamo alla Corte...”. Venimmo a sapere che i Pallavicino vendevano. Quando ci misi piede non ci fu bisogno di istruzioni, era come nei racconti dei nonni, mi muovevo come se fossi a casa mia dalla nascita».

    Duemila abitanti soltanto e una miriadedi associazioni di volontariato. Il sindaco prova ad elencare: due sezioni dell’Avis, la Pro loco, l’Associazione di San Rocco e delle acque miracolose che durante la peste guarirono gli animali, i volontari del Po sempre attivi soprattutto nei periodi di grandi piogge, poi ancora il circolo della parrocchia che si occupa dei restauri della chiesa.«Beh, diciamo che ogni abitante è associato qui e là, mica c’è l’incompatibilità delle cariche», puntualizza il sindaco divertita. «Io, invece, appartengo all’antica associazione delle “fornelle”, che sono le amanti della cucina per beneficenza». Ha scritto Vinicio Ongini che se uno mangia cuscus assaggia un altro mondo, oppure che il cibo è l’indizio di una cultura, un mezzo per leggere i microcosmi. Un indizio persino della spiritualità di un luogo. Il pane si benedice o si segna con la croce, e anche le uova, e si invocano i santi protettori per i raccolti. Ed esistono, scrive la parmigiana Mariangela Rinaldi, la minestra di san Lorenzo, le dita degli apostoli, le corone di Cristo, persino i seni di sant’Agnese.

     Zibello e Parma gaudenti e golose: «Ma la festa più partecipata dell’anno è quella della Madonna di Fatima, alla quale fece voto tutto il paese perché ci salvasse, e ci salvò, dai bombardamenti», conclude il sindaco. Parma la grassa vista così sembra persino un luogo comune, perché la verità è ormai che la provincia del gusto e il suo capoluogo hanno fatto del cibo un piacere, un dono di Dio, un modo di essere, una scienza da accudire gelosamente nelle stanze fastose della reggia di Colorno, altra patria del culatello, che fu di Maria Luigia, moglie di Napoleone prima e duchessa del principato di Parma e Reggio poi. In quei saloni è nata Alma, l’Università dell’alta cucina che è diventata ormai l’avanguardia della gastronomia italiana nel mondo.

     «In questi laboratori», spiega il presidente Albino Ivardi Ganapini, «si formano i cuochi e i sommelier per l’Italia e per il mondo, sempre più voglioso di piatti italiani». Un successo vero che ha spinto i fondatori di Alma (Provincia di Parma, Camera di commercio, Unione industriali) a programmare un allargamento delle strutture.E intanto, distribuiti sul territorio, sono nati i vari musei dedicati al cibo: quello del prosciutto a Langhirano, del Parmigiano reggiano a Soragna, del salame a Felino, del pomodoro a Collecchio; specchi di una società e di un popolo: «Perché il cibo», scrive ancora Mariangela Rinaldi, «è il custode della storia,della cultura e delle tradizioni».

Guglielmo Nardocci
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