25/10/2011
Una donna al telaio a Zorge Ritoma.
Qualche tempo fa, un film per adolescenti ci raccontò una storia Tre metri
sopra il cielo. Oggi esiste una storia da raccontare a tremila metri sopra il
cielo, sul tetto del mondo. Si é da poco conclusa la settimana della moda
parigina, e in tempi di crisi economica, la parata di paillettes ha fatto
storcere il naso a qualcuno.
Ma anche in sto mondo
esistono storie piene di etica e rallegrate dal lieto fine. E' il caso di Dechen
Yeshi, giovane stilista di origini tibetane, e degli ateliers Norlha, nel cuore
dell'Himalaya, dove viene tessuta la più calda e preziosa fra le lane, quella di
yak. La vicenda di Dechen ci illustra come la moda possa essere un ottimo
strumento per favorire la crescita economica e sociale di territori
sottosviluppati.
Conosciamo a memoria le storie di grandi marchi che vendono
prodotti a cifre esorbitanti, delegando la produzione a fabbriche asiatiche
dall'etica professionale più che dubbia. Il caso dei laboratori Norlha va
esattamente nella direzione opposta. E' una favola dall'epilogo felice, di
quelle di cui oggi sentiamo enormemente il bisogno. E' innanzitutto la storia di
una madre e di una figlia, Kimberley e Dechen Yeshi, il cui percorso umano e
professionale ha attraversato Francia, Stati Uniti e Tibet, e sulle cui orme é
germogliata la speranza di rinascita di alcune borgate di pastori nomadi perse
sugli altipiani dell'Himalaya.
Zorge Ritoma é uno di questi villaggi. Per
arrivarci ci vogliono tre giorni di camion dalla città più vicina e, dopo che ci
si é martoriati le ossa per arrivare fin qui, si viene accolti da un comitato
di 1.500 abitanti e 4.000 yak. Se, nel tempo glorioso in cui gli imperatori
cinesi della Città Proibita indossavano mantelli di yak, questa zona del Tibet
si trovava sul percorso della leggendaria Via della Seta raccontata da Marco
Polo, negli anni più recenti Zorge Ritoma é stata solo un'anonima borgata
rurale afflitta da un'emorragia di giovani ben decisi a fuggire da lí.
Una ragazza tibetana con una sciarpa di lana di yak.
Yak vuol dire ricchezza
Le
cose sono andate in questo modo finché, fresca dallo sforzo di spegnere
ventidue
candele sulla sua torta di compleanno, Dechen Yeshi é giunta fin qui,
affrontando i famosi tre giorni di camion, per esplorare il mondo
delle sue
origini dopo una vita trascorsa negli Stati Uniti. Quando é arrivata,
una parte
degli yak stava subendo la prima muta, quella che avviene quando
l'animale
compie due anni e il vello si fa morbidissimo. Dechen si rese conto
delle
qualità eccezionali di quella lana, ne acquistò una discreta quantità e
la portò
con sé a Kathmandu, in Nepal, per farla tessere.
Il risultato fu
stupefacente, in quel momento un'arte ancestrale andata persa nei secoli
tornò a
rivedere la luce. In modo del tutto avventuroso, nel 2007 vennero
portati
rocchetti e telai per tessitura nel villaggio sulle montagne e tutti gli
abitanti della borgata vennero implicati nei nuovi laboratori Norlha,
messi su
alla bell'e meglio sotto le tende dei nomadi. Grazie alla caparbietà di
Dechen e della madre Kim, agli atelier sotto le tende seguirono quelli
in
muratura e oggi Norlha dà lavoro e sostegno al villaggio intero.
Sono nati
asili, scuole, centri di formazione dove vengono impartiti corsi di
inglese, di
cinese e di computer. Il modello sta per essere imitato da altri
villaggi
dell'altipiano, incuriositi dalla frenetica attività degli artigiani di
Zorge
Ritoma. Intanto, in Occidente i prodotti ottenuti dalla tessitura
hanno
ottenuto un ampio successo nelle boutique di lusso di numerose metropoli
europee
e americane. La Maison Arnys e le boutique parigine di Sonia Rykiel
propongono
le sciarpe di yak, caldissime e luminose come la seta.
All'inizio del secolo
scorso, la tradizione dei tessitori di lana di yak era andata
completamente
perduta. Il tessuto grezzo veniva impiegato unicamente per la
costruzione delle
tende dei pastori. Da allora, grazie a Kim e a Dechen, le cose sono
decisamente
cambiate. Gli inizi sono stati difficili: durante l'inverno la
temperatura a
Zorge Ritoma può scendere sotto i -30° e gli artigiani tessevano sotto
le tende.
Poi le commesse si moltiplicarono e arrivò l'atelier in muratura. Oggi
più che
mai l'etimologia della parola yak suona come una felice profezia. In
lingua
locale yak significa ricchezza.
I lavoratori dei laboratori tessili di Zorge ritoma, nel Tibet.
Quando la moda ha un cuore
La moda può avere un cuore anche quando quest'ultimo non batte a tremila metri.
Esempi di moda etica sorgono un po' ovunque in Europa. E' il caso di Eva
Zingoni, stilista a Parigi di origini italo-argentine, da un paio di anni vero e
proprio fenomeno del fashion system. Dopo essere stata responsabile delle
collezioni destinate ai vip disegnate da Ralph Lauren e Balenciaga, Eva ha
inventato la sua linea di moda, definendola lei stessa "riciclaggio di lusso".
Il concetto funziona più o meno cosí: la Zingoni acquista a prezzo di saldo gli
scampoli di tessuti inutilizzati dalle grandi maison, i ritagli, le stoffe
destinate ad essere gettate via. A questo punto, la sua creatività si mette in
moto e in base ai tagli, ai materiali e ai colori ottenuti, viene messa a punto
una nuova collezione ottenuta esclusivamente da stoffe di recupero. Ne vengono
fuori pezzi originali, piccole opere d'arte spesso uniche perché é ricorrente
che i tessuti disponibili non siano sufficienti per confezionare più vestiti.
Eva ha trovato una buona idea per coniugare arte, eleganza e ecologia.
Nella
capitale francese la moda solidale recluta puntualmente nuovi addetti. E' nata
da poco l'associazione People-Frip. Qui non c'entra l'ecologia ma il buon cuore
di qualche vip ben disposto. Attori e personaggi famosi di varia natura offrono
a People Frip i vestiti indossati durante la realizzazione di film, spettacoli,
o durante lo svolgersi di avvenimenti mondani quali il festival di Cannes o
affini. People-frip si occupa di rivendere i vestiti e il ricavato va ad
associazioni umanitarie. Cosí, portare una camicia indossata da Sharon Stone e
immortalata sul red carpet di Cannes, può favorire il rialloggio dei
senzatetto.
Eva Morletto