11/03/2011
Martina Colombari in uno dei viaggi ad Haiti con la Fondazione Francesca Rava.
Mentre sta per approdare sugli schermi di Rai 1 con la fiction Il restauratore, Martina Colombari compare anche nelle librerie con l'autobiografia La vita è una, scritta con il giornalista Luca Serafini ed edita da Rizzoli. Un libro sincero e vivace che rivela la personalità poliedrica di una giovane donna fin qui nota soprattutto per la bellezza, per il titolo di miss Italia a 16 anni, per il fidanzamento con Alberto Tomba e il matrimonio con Billy Costacurta. Una professionista dell'immagine, verrebbe da dire pensando al lavoro di modella e attrice, se non fosse che da tre anni, nelle interviste Martina Colombari parla molto più dei poveri di Haiti, presso i quali si è recata cinque volte come volontaria della Fondazione Francesca Rava, che non del mondo dello spettacolo e della moda.
Martina Colombari, lei è una donna giovane. Perché ha sentito il bisogno di scrivere un'autobiografia?
"E' ciò che ho chiesto io a Rizzoli quando mi hanno contattato per propormi questo libro. Già la gente si sorprendeva quando mi vedeva nelle librerie con un libro in mano; immaginavo cosa avrebbero detto se avessi scritto un libro. Però poi ci ho ripensato. Ho pensato a una ragazza che nasce a Riccione, da una normalissima famiglia di provincia, e senza troppe smanie nè troppi sogni nel cassetto, si ritrova a 16 anni con in testa la corona di miss Italia. In vent'anni di carriera ho fatto la modella, poi la televisione, poi ho iniziato a recitare, poi ho fatto una mostra di foto mie scattate su di me. E ho pensato anche all'esperienza grossa ad Haiti, iniziata tre anni fa, prima del terremoto. Questo mi hanno risposto, su quante cose e quanti mondi avrei potuto raccontare, e a quanto magari la gente si fermi invece alla mia immagine. Io questa sensazione l'ho sempre avuta, di essere vista solo come la Colombari delle copertine. E' tutta verità, ma dietro quel castello c'è una vita, anche una difficoltà nel costruire una carriera, una difficoltà a fare insieme la mamma, la moglie e l'attrice. Ci sono state porte in faccia, ci sono stati tanti pianti. Mi piaceva l'idea che mi si potesse conoscere anche per la mia normalità, per le mie fragilità, per i miei racconti molto schietti e molto onesti, come poi ci sono nel libro. Io sono così. Sono un fiume in piena, sono una che purtroppo poche volte è diplomatica, faccio fatica a non dire quello che penso. E infatti in questo libro c'è esattamente tutto quello che penso, quello che ho fatto".
Dal libro si capisce che lei è una donna forte. Da dove nasce questa forza?
"Sicuramente dall'educazione che mi hanno dato i miei genitori. Da lì viene una sicurezza nel saper vivere la vita, nel saper affrontare le persone, nel dar valore alle cose che ho avuto e alla fortuna che mi è arrivata. Certo anche la mia terra, la Romagna, mi ha dato grinta. Mio marito mi prende in giro, dice che funziono a batterie, che mi si carica al mattino e bisogna staccarmi la sera. In questo senso il titolo del libro è molto significativo: La vita è una. Lo sento molto, nel senso che mi piace essere a 360 gradi. Mi piace riuscire a fare bene la moglie e la mamma, mi piace essere presente nella vita di mio figlio e nello stesso tempo non mi va di trascurare il mio lavoro, perché anche quello è la mia vita".
Molte pagine sono dedicate ad Haiti. Cos'ha cambiato in lei?
"Haiti è tosta. A me ha dato una grande maturità, mi ha messo in gioco di fronte al dolore, alla grande sofferenza. Mi ha anche fatto diventare più forte, perché ciò che ho vissuto durante i viaggi là mi ha fatto vedere tutto il resto con altri occhi. Ho scoperto per esempio quanto sia importante e necessario aiutare gli altri. Ho visto una popolazione devastata, un Paese che non è un Paese, bambini che non hanno la libertà di vivere, che non hanno la possibilità di vivere. Nel nostro mondo occidentale noi siamo in una condizione di vantaggio e perciò dobbiamo anche renderci conto di quanto possiamo fare per aiutare. La quotidianità delle giornate ad Haiti, con gli altri volontari, è molto intensa e pesante, sia dal punto di vista interiore che fisico. Ad esempio, il giovedì si va a recuperare nelle celle frigoriferi i cadaveri che nessuno reclama per seppellirli, con un funerale, nelle fosse comuni. Mentre sei lì diventi un robot, vai per automatismi, non ti rendi neppure conto di quello che stai facendo. Quando abbiamo finito tutto e ci si siede a mangiare un panino alle 4 del pomeriggio, allora c'è il crollo totale, perché siamo di carne e ossa. E io, per assurdo, ho una reazione di grande cattiveria, per quanto poco faccio e per quanto vorrei fare di più. Per fortuna, quando torno in Italia questa cattiveria riesco a canalizzarla in una raccolta fondi, in un discorso in televisione, in un coinvolgimento di sponsor importanti su determinati progetti che seguiamo. Quindi mi dà grinta per questo impegno. Ogni tanto vengo criticata o attaccata, ma non me ne importa; io continuo a fare quello che faccio".
Rosanna Biffi