Meglio la disciplina o il talento?

Un po' di filosofia dopo il disastro della Nazionale di Lippi. Passando per i soliti Balotelli (qui sopra) e Cassano e per il rapporto tra il calcio e la vita.

27/06/2010
Antonio Cassano.
Antonio Cassano.

La figuraccia della Nazionale italiana di calcio al Mondiale propone un quesito, dilatabile alla vita tutta, sia quella del leader di popoli che quella del contadino con i calli alle mani: meglio un talentuoso forte, multicolore ma disordinato, che un travet metodico, costante però grigiastro? Normale, giusto che il calcio, che scomoda quando va molto bene o molto male i cervelloni/opportunisti della politica, i guru dell'arte, della cultura, della psicologia, impegni questi illustri bipedi anche proponendo temi assoluti, interplanetari e intanto profondamente spiccioli. 

     Meglio Cassano con le sue intemperanze ma i suoi tocchi artistici, Balotelli con le sue follie ma con le sue invenzioni balistiche, o meglio un metodico metronomo, e che si chiami Pirlo o Montolivo poco cambia,? E nella vita, fatte tutte le proporzioni, tarati ed eseguiti tutti i paragoni, meglio il genio sregolato ancorché divertente o il regolarista dal moto uniforme e però monotono, noioso? 

    Ai tempi di Arbore e di Quelli della notte, con una televisione che già allora dettava modi di dire e anche di fare ai telespettatori dunque al popolo, c'era Catalano con la sua risposta assoluta, dirimente e intanto restringente: meglio un talento che sia tale con regolarità, un genio che sia sempre geniale, o un artista che sia anche efficace artigiano. Però sono tempi antichi, andati, lo stesso Arbore stenterebbe a imporre di nuovo certi sacri comandamenti all'Italia di adesso, svagata e smagata e “lippata”, capace ad opera del Gran Marcello del contropiede più sublime, consistente nel prendersi tutte le responsabilità prima che qualcuno te ne appioppi qualcuna. 

     Restando al calcio - il che però non significa che ci si rinserri dentro confini troppo esigui, considerando l'importanza che  il calcio ha nel Bel Paese e in tanti Paesi belli del mondo - segnaliamo che l'urgenza di talenti da immettere comunque in Nazionale non appariva poi così forte e drammatica, che gli inviti a Lippi perché spalmasse un po' di azzurro su almeno uno tra Cassano, Balotelli e Totti non erano così perentori, che un po' tutti “temevano” che, come quattro anni fa, Lippi finisse per avere ragione, difendendo il gruppo, vincendo e imponendo un altro balzo di popolo sul carro dei vincitori  a gente che rispetto a quattro anni fa ha meno agilità e più artrite di corpo e di pensiero.

     Noi quasi tutti calmi e silenti, dunque, pronti ad esecrare l'esecrabile se si fosse presentato (et voilà), ma pronti anche a dire che il gruppo è sempre il gruppo, e Lippi è sempre il più furbo e sapiente e calcolatore di tutti noi.  Eppure secondo chi scrive queste righe il talento, nel calcio e chissà se non soltanto nel calcio, è imprescindibile, ammesso ovviamente che esista e si manifesti. Abbiamo scritto, ben prima dei tragici venti che tutti sapete, di Lippi che insisteva a servire bolliti senza salse. Dove i bolliti erano Cannavaro e i cannavaroidi, le salse dovevano, potevano essere i Cassano e i Balotelli...

     Potremmo portare queste frasi come fiori all'occhiello della giacca, ma non ci piace indossare nessun tipo di giacca, siamo giornalisti da giubbotto (da lavoro, non antiproiettile).  Il calcio, poi, è posto dove il talento chiaramente fa la differenza. Sono tutte frottole quelle sulla squadra, sul gruppo, sulla compattezza, sul patto di ferro, se poi non c'è uno che spedisca la palla dentro la rete avversaria, e lo faccia con talento, visto che ormai le difese sono tutte bene preparate, sono tutte ermetiche, le tattiche sono tutte perfezionate, sono tutte funzionanti, le tecniche sono tutte  praticate efficacemente. A livello alto, come è comunque la fase finale di un campionato del mondo, decide la prodezza individuale, e basta.

     Prodezza che naturalmente riguarda anche il portiere, specialmente il portiere: tutti bravi a vincere se Buffon para il parabile e anche e sempre qualcosa di più, come nessun altro al mondo. Si enfatizza tatticamente l'importanza del centrocampo, ma non si vede mai un gol segnato da centrocampo, mentre la papera o la grande invenzione del portiere decidono eccome.  E allora: nel calcio di vertice il talento è l'unica arma per vincere, il talento che si ribella agli schemi ostili, che inventa, che forza ogni serratura. Questo vuol dire che anche nella vita, eccetera eccetera? Pensiamo di no, ma per la semplice ragione che la vita pone e impone problemi enormi, dei quali  la soluzione non è un tiro forte, un colpo di testa preciso. Lo stesso talento che basta eccome nel calcio per risolvere una partita non serve nella vita, dove i problemi sono enormi e  molteplici, le sfaccettature del poliedro sociale sono infinite. Nella vita complessiva il talento serve, ma non decide. Nel calcio decide. E visto che si parla di decidere, decida ognuno se questo significa un primato del calcio sulla vita, o della vita sul calcio.

Gian Paolo Ormezzano
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