Triumph, storia di una rinascita

Il marchio di motociclette inglesi è passato dal successo degli Anni '60, con testimonial come Marlon Brando e SteveMcQueen, all'incendio del 2002. Oggi brilla nelle Supersportive.

28/04/2011
Lo stabilimento inglese della Triumph dopo l'incendio del 2002.
Lo stabilimento inglese della Triumph dopo l'incendio del 2002.

Un'impresa rinata dalle proprie ceneri, in senso letterale, cioè non come un modo di dire, ma proprio come ricostruzione partendo (quasi) da zero, da ciò che hanno lasciato le fiamme. È la storia tecnologica, ma anche aziendale e umana della Thriumph, industria inglese nata alla fine dell'Ottocento, le cui vicende moderne raccontiamo anche per immagini, nella fotogallery allegata a questo articolo. E Thriumph, per chi è appassionato di due ruote, significa anche, e soprattutto, la capacità di progettare e costruire modelli alternativi allo "strapotere giapponese" in senso commerciale, per esempio sulla strada delle "naked" con le Street Triple, o nel mondo dei bolidi con la Speed Triple o la Daytona 675, riconosciuta in modo unanime come nuovo riferimento del segmento delle Supersportive. Honda, Yamaha, Kawasaki, Suzuki, insomma, si devono confrontare con un marchio che non ha paura di battersi sul loro stesso terreno.
  
L'avventura più recente di un marchio che più inglese non si può inizia all'alba del 21° secolo con la produzione della 100.000sima moto nello stabilimento di Hinckley, nel cuore dell'Inghilterra, e con a presentazione di due nuovi modelli. La prima – la TT600 – si confrontava sul terreno delle sportive di media cilindrata. Equipaggiata con un motore da 599cc, quattro cilindri in linea, a iniezione, incorniciato in un telaio elogiato da tutti, era l’unica moto non giapponese della categoria. Ma la novità forse più importante per Triumph fu la seconda, la Bonneville. Con un evocativo motore bicilindrico parallelo, raffreddato ad aria, la nuova Bonnie combinava il look, le sensazioni e il carattere della leggendaria T120 degli anni ’60. Successo immediato, soprattutto per il modello Bonneville, che tanti appassionati ha conquistato in Italia anche tra i giovani amanti di un intelligente gusto retrò abbinato a una tecnologia all'avanguardia dal punto di vista motoristico e di telaio. Tanto che la Thriumph arrivò a progettare la Bonneville America, rivisitazione in stile cruiser, disegnata per i motociclisti di oltreoceano.

Ma proprio quando il marchio inglese si stava preparando ad affrontare la nuova stagione, lo stabilimento fu devastato da un incendio. Le fiamme del 15 marzo 2002 distrussero completamente i magazzini, l’area dello stampaggio, le linee dei telai e di assemblaggio, mentre il resto della fabbrica fu seriamente danneggiata dal fumo. Senza scoraggiarsi, sebbene l’incendio fosse stato uno dei più grossi nella storia dell’industria britannica, alla Triumph si misero al lavoro e, dopo sei mesi la nuova fabbrica fu operativa.

L'ingesso della fabbrica oggi.
L'ingesso della fabbrica oggi.


LE ORIGINI


Le radici di Triumph affondano fino agli ultimi anni del 1800, quando l’uomo d’affari tedesco Siegfried Bettmann lasciò Norimberga e si stabilì a Coventry. Dapprima coinvolto nella vendita di macchine da cucire, colpito dalla grande passione per la bicicletta di tutta l’Inghilterra vittoriana, decise di entrare in questo settore. All’inizio si limitò ad acquistare bici dalla William Andrews, a Birgmingham, per rivenderle con il marchio Triumph (scelto perché comprensibile per tutti gli idiomi europei). Nel 1887, due anni dopo l’inizio della sua avventura, fu affiancato da Mauritz Schulte, anch’esso proveniente da Norimberga, ed entrambi si resero conto che il futuro sarebbe stato nella realizzazione in proprio delle biciclette. Trovarono la struttura idonea a Coventry e, nel 1889, cominciarono la produzione. Si avvicinava la fine del secolo e il motore a combustione interna cominciava a riscuotere interesse, così l’ingresso nel mondo delle motociclette fu il passo successivo per la Triumph Cycle Co.

Marlom Brando su una Triumph nel film "Il selvaggio".
Marlom Brando su una Triumph nel film "Il selvaggio".

Nel 1902 la prima moto uscì dalla fabbrica di Coventry. Chiamata N°1, si trattava essenzialmente di una bici con telaio rinforzato e un piccolo motore Minerva da 2,25cv appeso al tubo obliquo. La trasmissione avveniva tramite una cinghia collegata alla ruota posteriore e comandata dall’albero motore; i pedali, la corona e la catena erano stati mantenuti. Schulte era un perfezionista e scelse un motore Minerva poiché la tecnologia belga era a quel tempo la più avanzata. Alla fine del 1905, Schulte, in collaborazione con Charles Hathaway – direttore della fabbrica nonché designer dotato e buon pilota -, realizzarono la prima motocicletta interamente Triumph, la Model 3HP. Dotata di un motore monocilindrico da 363cc, capace di 3cv a 1.500 giri, poteva spingersi ad una velocità massima di 70km/h. Sculte decise di concentrarsi sul perfezionamento e lo sviluppo di questo mezzo e, mentre altri produttori cercavano di bruciare le tappe, Triumph proseguì su questa strada senza mai smettere di verificare le sue motociclette. La cilindrata crebbe col passare degli anni e, nel 1908, il motore era salito a 476cc, la potenza a 3,5cv, ed era stato adottato un variatore per permettere di affrontare le salite più ripide. La vittoria al TT con Jack Marshal, nello stesso anno, fu una ulteriore conferma dell’affidabilità e del valore della moto. Ed è in quell’occasione che nacque lo slogan “Otto Triumph alla partenza, e otto all’arrivo”.

Steve McQueen nel film "La grande fuga" su una Triumph camuffata da moto tedesca.
Steve McQueen nel film "La grande fuga" su una Triumph camuffata da moto tedesca.

Gli anni ’60 furono un periodo favoloso per il motociclismo in generale e per Triumph in particolare. La Bonneville ebbe un successo incredibile, e divenne la bicilindrica sportiva per eccellenza sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti, e le vittorie nel TT e a Daytona moltiplicarono la sua fortuna. La valenza sociale della motocicletta era al culmine. Per molte persone era ancora il mezzo di trasporto più comune, ma cominciò anche ad apparire nei film più famosi dell’epoca, accanto a star come Marlon Brando e Steve McQueen.

Il modello Bonneville.
Il modello Bonneville.

Tuttavia, negli anni '70 sino all'inizio del 1983 vede il periodo più nero nella parabola della Thriumph. Il denaro era finito e la liquidazione fu la conseguenza inevitabile, insieme alla vendita delle attività dell’azienda. Nel 1984 fu raso al suolo e al suo posto furono costruite delle abitazioni. Molti videro la fine di Triumph e dell’intera industria motociclistica britannica. Per fortuna non fu così. L’imprenditore immobiliare John Bloor acquistò il marchio Triumph e costituì una nuova società, interamente con capitale privato, la Triumph Motorcycles Limited. All’inizio si limitò a dare licenza alla Racing Spares (un’azienda nel Davon che in passato realizzava parti per Triumph) di costruire l’incarnazione della Bonneville, principalmente per mantenere in vita il marchio. Intanto la nuova società pianificava le politiche per tornare a giocare un ruolo di primo piano sul mercato mondiale. I progetti che Bloor si ritrovò sul tavolo erano ormai datati e per lo più inservibili, così gli ingegneri dovettero rimettersi al tavolo da disegno.

La Triumph Street Triple versione 2012.
La Triumph Street Triple versione 2012.

Dal 1985, per tre lunghi anni, mentre alla Racing Spares si continuavano a costruire Bonneville, la nuova Triumph lavorò in segreto, nel silenzio totale. Fu realizzato un nuovo stabilimento ad Hinckley, nel Leichestershire, e fu progettata un’intera gamma di moto a tre e quattro cilindri, raffreddati a liquido, con quattro valvole per cilindro e distribuzione a doppio albero. Qualcosa di assolutamente differente da quanto Triumph aveva mai realizzato. Il resto è storia recente, passando attraverso momenti drammatici come l'incedio del 2002, dal quale la Thriumph è ancora una volta sopravvissuta fino alla gamma 2012 già lanciata sui mercati internazionali.

Pino Pignatta
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