15/11/2011
Gli uomini di 6.000 anni fa non si trattavano poi così male
quando era il momento di mettersi a mangiare. A dispetto di quella che si è
sempre ritenuta come l'ipotesi più probabile, e cioè che la nozione di cucina
vera e propria si fosse sviluppata soltanto con la scoperta dell'agricoltura,
il ritrovamento di alcune padelle primitive nei pressi del mar Baltico,
contenenti avanzi di cibo ha aperto nuovi scenari. La conversione a frutta e
verdura, infatti, pare abbia avuto un impatto, almeno in Nord Europa, meno
rapido e potente di quello che si credesse.
La caccia e soprattutto la pesca sono rimaste per quelle
popolazioni fonte fondamentale di nutrimento: a stabilirlo sono i ricercatori
dell'Università di York e di Bradford in uno studio pubblicato sui Proceedings
of the National Academy of Sciences. Da un attento studio chimico sui residui
delle 133 pentole neolitiche rinvenute tra Danimarca e Germania è emerso che i
grassi di cibo fossero in buona parte pesci e, comunque, di altri animali di
acqua dolce. La composizione degli isotopi di carbonio spinge gli scienziati a
credere che, nonostante l'avvento dell'agricoltura, anche negli insediamenti
più lontani dalla costa i pasti più comuni fossero essenzialmente a base di
ostriche, calamari, anguille, cozze e aringhe.
Risultati inattesi, secondo Oliver
Craig dell'University di York, a capo della ricerca: «Lo studio dimostra
che le popolazioni intorno alla regione del Baltico occidentale continuarono a
mangiare risorse marine o di acqua dolce a dispetto dell'arrivo di animali
domestici e piante. Quindi, l'agricoltura si diffuse rapidamente nella regione,
ma non causò un cambio così radicale dalle abitudini culinarie come creduto
fino a oggi».
Leonardo Volta