26/10/2011
Che legame c’è tra i nomi che diamo alle cose e la loro
forma? Perché, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Finlandia all’Uganda, la
maggior parte delle persone che parlano lingue diverse e appartengono a culture
differenti affermerebbero che un oggetto chiamato "mal" è più grande
di uno chiamato "mil"? Gli scienziati del Centro Mente/Cervello
(CIMeC) dell’università di Trento, in
collaborazione con i loro colleghi degli atenei di Oxford e del Max Planck
Institute of Biological Cybernetics hanno provato a fare un’indagine in questo
senso e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Experimental Brain
research ipotizzando l’universalità almeno di alcuni aspetti del linguaggio, a
prescindere dalle lingue e dalle convenzioni sociali, approccio invece sempre
dato per certo fino a oggi. In sostanza ogni cosa che vediamo, oltre ad avere
forma e colori, avrebbe insito un proprio suono, quello che le associamo
inconsapevolmente mentre la osserviamo.
Questo il test: alle "cavie" è stato chiesto di
pronunciare la vocale "a" mentre
venivano mostrate loro delle immagini. è
emerso che la natura dei suoni emessi cambia, in modo simile in tutti i
soggetti, a seconda delle caratteristiche dell’immagine. Per esempio, il volume
si alzava se le immagine erano particolarmente luminose e il tono si faceva più
acuto di fronte a oggetti spigolosi.
«È noto da tempo che le persone tendono spontaneamente ad
associare dei suoni privi di significato a delle forme visive, come
nell’esempio famoso in cui è più probabile che a evocare un oggetto
spigoloso sia il vocabolo ‘takete’
piuttosto che il vocabolo ‘maluma’», ha detto Francesco Pavani del CIMeC, che
ha partecipato allo studio: “L’aspetto più nuovo e sorprendente di questa
ricerca è il fatto che anche un’emissione semplice, come la vocale ‘a’, del
tutto spontanea e arbitraria, cambia a seconda della figura che stiamo
osservando”.
Leonardo Volta