12/07/2011
Come è possibile che di fronte alcuni piatti particolarmente prelibati, ma il più delle volte non propriamente salutisti, ci sentiamo come drogati? Per esempio, una porzione di patatine fritte croccanti riesce a far vacillare anche le coscienze più solide. La tentazione, si dice, fa l'uomo ladro e, in men che non si dica, le patatine si volatilizzano nel piatto. Uno studio pubblicato su Pnas prova a dare una spiegazione: Daniele Piomelli dell'Istituto italiano di tecnologia e Nicholas Di Patrizio dell'Università della California, hanno infatti spiegato che questi cibi innescano realmente un meccanismo biologico simile a quello provocato dagli stupefacenti.
Responsabili di indurre in tentazione sono gli endocannabinoidi, sostanze prodotte naturalmente dall'organismo e capaci di legare gli stessi recettori riconosciuti anche dal principio attivo della marijuana (thc). Questo almeno è il risultato di una ricerca finora condotta sui topi: tutto comincerebbe già dal momento dell'assunzione del cibo, quindi dalla bocca. Gli alimenti grassi infatti darebbero il via a un messaggio molecolare diretto al cervello e, da qui, alle cellule intestinali passando attraverso il nervo vago. Queste ultime vengono "spinte" a rilasciare endocannabinoidi e ad avviare una serie di nuovi segnali che richiedono l'assunzione indiscriminata di altri cibi grassi.
Questo procedimento non succederebbe, invece, con sostanze come gli zuccheri o le proteine. Secondo gli studiosi “si potrebbe utilizzare un farmaco in grado di ‘intasare’ i ricettori degli endocannabinoidi; un farmaco che per altro, agendo a livello intestinale, non interferirebbe sul sistema celebrale evitando di causare effetti collaterali come ansia e depressione”.
Leonardo Volta