31/05/2011
Una settimana dopo essere tornato sulla Terra Paolo Nespoli ha parlato con Famiglia Cristiana del suo lungo volo: quasi sei mesi in orbita, a bordo dell'International Space Station. Un'intervista esclusiva che l'astronauta ci ha concesso via telefono da Houston, dove vive con la moglie russa e con la figlia di due anni.
Nelle foto scattate subito dopo l'atterraggio aveva l'aria affaticata.
E' stato duro affrontare il rientro dopo un lungo periodo in assenza di
peso?
“Il rientro è impegnativo. La decelerazione è forte e sottopone
l’organismo a una forza sino a quattro volte e mezzo quella di gravità.
E’ difficile respirare perché ci si sente schiacciare la trachea. Mi
avevano spiegato di distendere la testa all’indietro, ma la Soyuz è
minuscola: sono alto quasi un metro e novanta e, dopo sei mesi in
orbita, la mia colonna vertebrale si è allungata di circa cinque
centimetri. Insomma, non riuscivo a muovere la testa e mi sentivo
soffocare. Anche l’apertura del paracadute e l’accensione dei razzi che
rallentano la discesa prima dell’impatto sono violenti. Sulla Terra poi,
mi sembrava di pesare almeno 300 chili. Persino la fede nuziale mi
pareva pesante”.
Come si sente adesso dopo una settimana?
“Molto meglio. Anche se mi pare di aver corso la maratona”.
Lei ha volato in passato con lo Shuttle e ora con la Soyuz: la
macchina più complessa mai realizzata dall'uomo contro la rustica
semplicità della navicella russa. Quali le differenze per l’astronauta?
“Lo Shuttle è molto avanzato, ma anche delicato. Come una Formula 1. La
capsula russa è rudimentale, spartana e scomoda. Però vanta
un’affidabilità a tutta prova”.
Che cosa ha patito maggiormente in quasi sei mesi in orbita? L'effetto
dell’assenza di peso? La mancanza di privacy?
“No, nessuna di queste cose. Mi sono adattato senza problemi allo spazio
e non mi sono sentito prigioniero sulla Stazione. Neppure per un
momento. Potevo parlare con la mia famiglia, chattare attraverso i
social network, inviare e-mail. Ero solo un po’ stanco perché dormivo
meno del solito: colpa della mole di lavoro da fare e dell’hobby per la
fotografia, che mi ha rubato parecchie ore al riposo. Ho fatto più di 23
mila scatti della Terra. Il nostro pianeta, sempre mutevole, è una
modella affascinante. Non mi stancavo mai di osservarlo”.
Nessuna lamentela?
“Una sì: il cibo. La qualità è scadente. Nello spazio, inoltre, il gusto
s’indebolisce e così vengono usate molte spezie. Sognavo spesso di
poter gustare una pizza. Una semplice pizza margherita”.
La “giornata tipo” sulla Space Station?
“Sveglia alle 6 ora di Greenwich. Alle 7,30 primo collegamento con i
centri di controllo e poi lavoro fino alle 20, spesso le 21, con una
breve pausa per il pranzo. Nelle attività di lavoro sono comprese due
ore dedicate agli esercizi fisici per mantenere allenati l’apparato
cardiovascolare e i muscoli. Questo cinque giorni la settimana. Il
sabato e la domenica dovrebbero essere di riposo, ma si finisce sempre
per lavorare un po’. E poi nel week-end si fanno le pulizie e le
operazioni per mantenere la Stazione in efficienza”.
Che cosa ha provato quando ha incontrato il collega italiano Roberto
Vittori?
“Quando arriva una Soyuz o uno Shuttle è una festa, anche se cresce la
mole delle cose da fare. Con Roberto ho potuto finalmente scambiare
qualche parola nella nostra lingua. Ha portato un po’ di cibo con il
quale abbiamo organizzato una cena italiana per tutti. Con Vittori, poi,
ho condiviso l’esperienza dei due collegamenti in diretta con il
presidente Napolitano e con il Papa”.
Di che cosa avete parlato con Benedetto XVI?
“Dell’esplorazione spaziale, ma, per una volta, non tanto dal punto di
vista scientifico e tecnologico, ma da quello umano. Quando hanno
annunciato la possibilità di questo collegamento, anche gli astronauti
non cattolici hanno chiesto di partecipare. Il papa ha parlato in
inglese con tutti. Poi, in italiano, si è rivolto a me dicendo che aveva
pregato quando, pochi giorni prima, aveva saputo che mia madre era
morta e continuava a farlo. E’ stato toccante”.
Perdere la mamma ed essere lontani è duro. Che cosa l’ha aiutata a
superare il momento?
“La vicinanza della gente. I miei compagni qui sulla Space Station, in
primo luogo, i miei familiari, che ho potuto sentire in ogni momento
durante quei giorni. E poi le migliaia di persone che hanno voluto
trasmettermi un messaggio attraverso Twitter. Quando sono partito mamma
non stava male, mai avrei immaginato di perderla. D’altronde, quello che
ho provato è quello che spesso accade, per esempio, ai marinai. E’
stato triste, ma non mi sono sentito solo. E questo mi ha aiutato
molto”.
Nespoli, lei ha volato due volte nello spazio ed è l'italiano che ha
passato più tempo in orbita. E adesso? Pensa di continuare o è ora di
voltare pagina?
“Non mi dispiacerebbe un’altra missione. Sarei pronto a partire anche
subito, ma un volo richiede tre o quattro anni di preparazione. Sono
nato nel 1957. Ho 54 anni. Mi sento ancora abbastanza giovane, ma credo
che sia giusto lasciare le opportunità ai nuovi astronauti”.
Giancarlo Riolfo