06/06/2012
Michele Mirabella, conduttore di "Pronto Elisir" (foto Ansa).
«"Lei è quello che fa la salute?". Questo è l’approccio un po’ casereccio che ha avuto un mio telespettatore quando, una volta, m'incontrò per strada. "Certo", gli risposi. Allora lui continuò: "A Mirabé, scusi, può parlare con mia figlia?". "Cos’è successo alla ragazza?", gli chiesi. "È innamorata", disse lui. "Bene, è una cosa bellissima", aggiunsi io. "No, non va bene perché ne sta facendo una malattia", rispose l’uomo. Questo mi ha divertito molto e, nello stesso tempo, mi ha fatto piacere sapere che, per il pubblico, sono uno di famiglia. Anzi, il medico di famiglia».
Michele Mirabella non ha una laurea in medicina, ma dopo sedici anni alla conduzione di Elisir, la più longeva trasmissione di salute e medicina, è la prova evidente che anche la cultura e la scienza possono fare ascolti in Tv. Mirabella, laureato in lettere e filosofia, è anche regista, autore, attore di teatro, radio, cinema e televisione. Ma la maggior parte di noi lo conosce come il conduttore di Elisir, in onda ogni domenica, in prima serata, su Rai 3.
-Qual è il segreto per poter parlare di salute in tv e avere seguito?
«Se è un segreto non glielo posso rivelare… ma le posso dare qualche indizio. Non fare il medico, se medico non sei. Non fare il conduttore, se conduttore non sei. Ognuno deve giocare semplicemente il suo ruolo. Il presentatore deve mantenersi schivo da qualsiasi pretesa di sapere tutto, deve dimostrare di capirne quanto mediamente ne capisce un cittadino qualsiasi. In più, deve avere la tecnica professionale e cioè essere in grado di prelevare dagli ospiti la saggezza che serve per arrivare a tutti. Come vede, è il segreto di Pulcinella».
-Non mi sembra alla portata di tutti…
«Ho sempre cercato di essere onestamente ignorante perché solo così riesco a interpretare l’esigenza del pubblico. In caso contrario, si finisce in un marasma di equivoci funzionali. In pratica, mi faccio portavoce delle domande che si farebbe ogni persona comune guardando il programma. Ecco perché la gente mi considera di famiglia. Significa che ho centrato il mio obiettivo».
-Lei è la dimostrazione, in un momento in cui la tv ha raccolto numerosi flop, che si può fare ascolti anche con la divulgazione scientifica.
«Non da oggi ma da sempre, con la cultura, si può fare audience. Dipende dalla fiducia che ci mette l’azienda nell’incoraggiare i programmi culturali. Se, l’azienda per prima non ci crede e li programma alle due di notte, è evidente che il pubblico poi non li può premiare seguendoli. Non sono d’accordo sul fatto che la tv generalista sia in crisi. Se guardiamo i dati Auditel sono sempre 25 milioni le persone che la guardano, ma utilizzano anche altri strumenti. Internet, per esempio. Generalista non è la televisione, ma il pubblico».
-In questi sedici anni com’è cambiata la richiesta del pubblico?
«L’educazione generale aumenta, perché la coscienza dei propri diritti è più determinata. Possiamo dire che c’è un interesse che si è accentuato negli ultimi trent’anni perché l’idea sociale della salute come diritto, per altro sancito dalla Costituzione, ormai permea tutti gli stati della cittadinanza».
-Cosa ne pensa del nostro sistema sanitario?
«Checché se ne dica, abbiamo un sistema di sanità nazionale meraviglioso, forse il migliore del mondo. Una signora, una volta, è intervenuta nel programma con una telefonata in diretta in cui mi chiedeva perché dovesse pagare la tassa sulla salute se stava bene. Le risposi che era un modo per non far ammalare gli altri. E allora ribatté che, in quel caso, l’avrebbe pagata ancora più volentieri».
-Gli italiani sono sempre più attenti in fatto di prevenzione?
«Non entusiasmiamoci facilmente. È migliorata la situazione, ma non è ancora ottima».
-Chissà quanti medici ha conosciuto nel corso di questi anni. In tv meglio i dottori o le dottoresse?
«Differenza irrisoria, in quanto strumentale. Non ci ho mai fatto caso».
-Lei si è mai sentito un dottore mancato?
«Non per Elisir. Mi sono sentito tale quando rinunciai a frequentare la facoltà di medicina perché la vocazione artistica fu più forte di quella scientifica. Anche se ho intrapreso un’altra strada, privatamente, ho sempre e comunque studiato medicina».
-È vero che ha seimila libri in casa?
«Sì. Lo so perché li ho contati. Fino a oggi ne ho catalogati 4768 in un programma che ho elaborato per sapere dove trovarli. A occhio, me ne mancano all’appello 1500, più o meno. Quindi in totale dovrebbero essere circa seimila».
-Sono presenti tutti i generi?
«Classici, Letteratura, Storia, Filologia Italiana e Filologia Classica, Storia della scienza…»
-La narrativa?
«La leggo e poi regalo il libro perché non so dove metterlo. Non lo considero un tesoro da conservare».
-Lei è anche stato il mega direttore galattico nel film Fantozzi subisce ancora, e guarda caso era abbonato a vita, 4 volte, a Famiglia Cristiana…
«Dal punto di vista degli sceneggiatori, abbonarsi al settimanale cattolico costituiva una garanzia di sicuro successo».
-La maggior parte del pubblico la conosce come il conduttore e l’autore di Elisir, ma lei si occupa di tantissime altre cose…
«Nasco regista, attore e sceneggiatore. Ho appena diretto una Tosca al Petruzzelli di Bari».
-Per due anni anche autore di Raffaella Carrà.
«Il programma si chiamava Ricomincio da due ed è stato un grande successo».
-Quante cose ha fatto il professor Mirabella. Può fare di più?
«Direi di nuovo, di diverso…»
-Per esempio?
«Riuscire a finire di scrivere un film che sto inseguendo da vent’anni. Ho l’idea, ma la mia pigrizia è stata più longeva».
-Praticamente il tempo impiegato da Ulisse per tornare a casa… Speriamo, allora, di vederla presto sul grande schermo. Nel frattempo continua anche a scrivere libri?
«Sì, è uscito da poco Cantami o mouse. Una raccolta di riflessioni su quanto sia ancora persistente il mondo antico nella nostra realtà. A volte non ce ne rendiamo conto, ma le parodie dei miti antichi sono prese per scenari irrinunciabili dell’immaginario nostro. Sotto sotto gli italiani sono affascinati dal loro passato. E non bisogna dimenticare che per amarlo bisogna conoscerlo».
-Ha paragonato la televisione a uno specchio. Perché?
«Purtroppo, noi imitiamo la tv e non viceversa. Non dobbiamo assomigliare alla tv ma considerarla una finestra sul mondo. Ci sono molti personaggi del piccolo schermo che sono quasi ridicoli e non se ne accorgono. E pensare che nella Francia del ’700 la colpa peggiore per una persona era quella di essere ridicola».
-Può dare un consiglio ai dirigenti delle tv?
«Certo. Quello di continuare a studiare…»
Monica Sala