Il fegato è “grasso”, ma l’epatite diminuisce

Il 30 per cento degli italiani, specie bambini, soffre di steatosi, che però si può curare migliorando lo stile di vita

09/12/2011

Il 30 per cento degli italiani ha un fegato "grasso". Si chiama steatosi ed è in costante aumento, soprattutto nei più giovani e nei bambini. Colpa di stili di vita scorretti: aumento di peso, abbondanti snack fuori pasto, abuso di farmaci e alcol. Un problema che sta colpendo tutti i Paesi occidentali. L’allarme per il fegato è dovuto anche  alla diffusione, secondo alcuni sempre più massiccia, delle epatiti B e C. L'Italia detiene, purtroppo, un record nell'Europa occidentale per numero di persone infette da epatite C, con circa 3 milioni di casi e oltre 20.000 decessi l'anno a causa di insufficienza epatica, cirrosi e tumori del fegato che possono essere conseguenza delle epatiti croniche.

Maurizio Alessandro Tommasini,
responsabile dell'Unità Operativa di Medicina Generale e Epatologia di Humanitas conferma l’allarme steatosi: «è un problema strettamente legato all'aumento di peso, tipico della società del benessere e che sta, ora, iniziando a colpire anche i bambini per colpa dell'alimentazione come, per esempio, gli hamburger, e un sempre maggior ricorso da parte delle mamme all'utilizzo di cibi preconfezionati come le merendine, di cui si abbonda in modo indiscriminato. Altri fattori che contribuiscono a provocare questo ‘ingolfamento' del fegato sono la scarsa attività fisica, il consumo di alcolici e l'abuso di farmaci fai-da-te anche in veste di preparati erboristici, falsamente ritenuti innocui. E' bene ricordare, inoltre, che gli ormoni come le pillole contraccettive, seppure a basso dosaggio, hanno influenza sul buon funzionamento del fegato».



Il fegato grasso è pericoloso?

«Di per sé no, ma può innescare un processo infiammatorio, l'epatite, che, cronicizzandosi, favorisce la formazione di fibrosi e  quindi, in tempi più o meno lunghi, una malattia molto più severa, la cirrosi. Quest'ultima a sua volta può successivamente evolvere in epatocarcinoma».



Come si può evitare?

«Mantenendo il peso a un livello ideale, che non significa solo non ingrassare, ma anche non essere troppo magri. Le persone anoressiche, infatti, hanno il fegato grasso, perché costretto a un super-lavoro per bilanciare le carenze nutrizionali. E, per lo stesso motivo, niente cure dimagranti con effetto yo-yo. La dieta deve essere bilanciata e varia e prevedere tutti i nutrienti (proteine, carboidrati, grassi, zuccheri). Inoltre, si deve praticare attività fisica e non abusare di farmaci o alcol».



Esistono esami da eseguire ogni tanto?

«Non servono. Gli esami potenzialmente utili sono moltissimi e, quindi, debbono essere eseguiti solo se si appartiene a una categoria a rischio. Se, per esempio, si ha famigliarità per diabete, un altro fattore complice del fegato grasso, dopo una certa età si controllerà la glicemia. è il medico che deve valutare, attraverso una corretta anamnesi che comprenda la conoscenza degli stili di vita, dell'esposizione a fattori di rischio (per esempio, tatuaggi, piercing o attività lavorativa), del peso e della familiarità per malattia di fegato, quale sia se necessario il percorso diagnostico terapeutico più appropriato per il singolo paziente».



Il professor Mauro Podda, ordinario di Medicina all'Università degli Studi di Milano, nega comunque che si possa parlare di allarme per la diffusione di epatiti B e C: «I dati di incidenza complessiva, in realtà dicono il contrario ovvero che le epatiti B e C sono in forte e sostanziale declino in Italia. Tutto deve essere riportato nella giusta prospettiva. Spiego meglio. L'Italia è ormai diventato un Paese virtuoso per l'epatite B, che può dirsi sotto controllo. Ha, infatti, introdotto precocemente (nel 1991) la vaccinazione per due gruppi, i neonati e i dodicenni. Questo significa che la popolazione attuale, con un'età pari o al di sotto dei 32 anni, dovrebbe essere tutelata dal vaccino, che ha una copertura di oltre il 90 per cento (con differenze tra varie regioni: la Val d'Aosta, per esempio, arriva quasi al 100 per cento mentre il Sud è sotto il 90). Il risultato è che i portatori di infezione cronica del virus B sono notevolmente calati (dal 3 per cento allo 0,8 per cento) e l'incidenza di nuovi casi è estremamente rara. Comunque, chi contrae ancora l'epatite B sopra i 10-12 anni (per comportamenti sessuali a rischio, unico modo di trasmissione al giorno d'oggi in Europa) ha una forma acuta da cui guarisce e non cronicizza».

E l’epatite C?
«Anche l'epatite C non rappresenta un problema per il futuro. Ha una grande diffusione iatrogena, cioè legata a cure mediche (e non al contagio per via sessuale) a causa di quello che definisco ‘paradosso italiano': il fegato nei decenni precedenti (dagli anni ‘40 ai ‘70) è sempre stato considerato un organo vulnerabile, da trattare preventivamente con farmaci per via iniettiva che hanno contribuito a incrementare l'infezione da epatite C arrivando al 20 per cento della popolazione. Nella lista delle persone con questo virus, però, oggi troviamo gli over 50, che rappresentano 'l'onda lunga' di questo paradosso e che, per lo più, non muoiono di epatite. Il virus si esaurirà, quindi, per via anagrafica e, anche in questo caso, può dirsi sconfitto».

Michele Rosati
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