Tumore alla prostata, come prevenirlo

Come fare per diagnosticarlo in tempo

09/03/2012

Il cancro della prostata è uno dei tumori più comuni nella popolazione maschile. Il rischio è generalmente correlato all'età del paziente ed alla familarità, tanto che, fino alla prima metà del secolo scorso, era considerato una patologia rara sia per via della più bassa speranza di vita che delle difficoltà di diagnosi. L’aumentata età media della popolazione nei Paesi sviluppati ha portato la necessità di sviluppare metodi di diagnosi precisi, rapidi e poco invasivi.



L’antigene prostatico specifico (PSA) è un enzima che viene prodotto dalle cellule epiteliali della ghiandola prostatica. Un livello elevato di questo enzima nel sangue indica una condizione anomala della ghiandola, non necessariamente di natura tumorale. Di conseguenza, il livello di questo enzima nel sangue viene usato come indicatore di potenziali problemi alla prostata; tuttavia, proprio a causa della limitata sensibilità di questo enzima nell’indicare la reale natura del problema, il suo utilizzo come marcatore è stato spesso criticato.

Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo delle tecnologie di biologia molecolare, sono stati ideati diversi nuovi fattori predittivi, tra i quali i più diffusi sono il PCA3 ed il -2PROPSA. I due parametri non sono tuttavia ancora universalmente diffusi, nonostante i buoni risultati ottenuti nel corso delle sperimentazioni, alle quali partecipa anche Humanitas Cancer Center. Gianluigi Taverna, è il capo della Sezione di Patologia Prostatica all’interno della Unità Operativa di Urologia, spiega come funziona lo screening con il PSA. «Basta un semplice esame del sangue. Il laboratorio di analisi rileva i livelli di questo enzima nel campione di sangue prelevato: livelli sotto i 2,5 nanogrammi per millilitro sono considerati nella norma (anche se, a seconda dell’età del soggetto e di altri fattori, i medici tendono a innalzare talvolta questa soglia fino a 4 ng/mL) Livelli superiori sono considerati a rischio tumore, seppure possano derivare, per esempio, anche dall’iperplasia prostatica benigna, una patologia che provoca l’ingrossamento della prostata, comunissima negli uomini dopo i 50 anni, o da una semplice prostatite (infiammazione della ghiandola prostatica). Inoltre, in aggiunta alla possibilità che, pur presentando livelli anomali di PSA, i pazienti siano affetti solamente da patologie benigne o semplici infiammazioni transitorie, bisogna considerare l’eventualità, documentata in vari casi, che particolari tipi di carcinoma prostatico sfuggano a questo esame, dato che ne alterano il risultato solo marginalmente. Sottolineo infine che livelli anche molto alti di questo enzima non indicano con certezza la presenza di un tumore; in sostanza, si tratta di uno strumento diagnostico che mantiene una notevole utilità, ma non è mai conclusivo nel diagnosticare o nell’escludere un cancro della prostata».



Che alternative esistono, al momento, al test PSA?

«Bisogna innanzitutto dire che l’unica metodica diagnostica che dia l’assoluta certezza della diagnosi di carcinoma prostatico è la biopsia, essenziale ma piuttosto invasiva. Il vero “problema” della biopsia è che il tumore potrebbe non trovarsi nella porzione della ghiandola dalla quale viene asportato il tessuto che viene utilizzato come campione, quindi è talvolta necessario ripetere la biopsia per avere un dato più attendibile. 
Fatte queste premesse, nel tentativo di aumentare la sensibilità del PSA e di ridurre il numero di biopsie, sono stati recentemente introdotti alcuni marcatori prostatici.
L’antigene tumorale prostatico 3 (PCA3), scoperto nel 1999 (ma in uso da pochi anni), la cui presenza si misura attraverso l’esame delle urine, è considerato più preciso per la sua sensibilità come marcatore tumorale e più affidabile come strumento predittivo conclusivo. È anche indipendente dal volume della prostata, cosa che lo rende meno influenzabile dall’iperplasia prostatica benigna che, come già detto, è molto diffusa fra i pazienti che hanno superato i 50 anni. 
Esiste infine il -2PROPSA con PHI (Prostate Health Index, indice di salute della prostata), una versione più “raffinata” del PSA, che si ottiene sempre attraverso gli esami del sangue. Questi due parametri si utilizzano solitamente nei pazienti con PSA fuori norma che si sono sottoposti ad una biopsia risultata poi negativa. Prima di ripetere un esame poco piacevole, come la biopsia prostatica, può essere utile avere una conferma ulteriore attraverso dei valori più accurati».

Michele Rosati
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