La stipsi cronica: una malattia in crescita

Presentati a Milano i risultati della ricerca LIRS. Fanno il punto sulla qualità della vita di chi soffre di questa patologia. Le donne le più colpite.

15/03/2012

Un problema fastidioso, spesso tenuto nascosto e gestito con difficoltà da chi ne soffre, perché causa di grande imbarazzo. Parliamo della stipsi, patologia gastroenterica oggi sempre più diffusa, soprattutto nella sua forma cronica. I suoi sintomi sono inequivocabili: pesantezza, gonfiore, sforzo, sensazione di evacuazione incompleta e dolore persistente all’addome. Secondo i dati forniti da un recente studio, condotto da Doxa Pharma, con il contributo di Shire Italia, la stipsi cronica colpisce circa il 15-20% della popolazione italiana. Di questa non certo esigua porzione, ben l’80% è costituito da donne sui 50 anni di età (in media), afflitte dalla malattia da diverso tempo. La ricerca in questione (LIRS - Lavative Inadeguate Relief Survey), presentata a Milano il 9 marzo scorso, ha coinvolto 39 centri di gastroenterologia distribuiti in tutta Italia, e un campione di circa 900 pazienti; suo scopo è stato quello di fare il punto sulla qualità della vita di chi soffre di questa patologia.

Alcuni tra i risultati più interessanti dell’indagine parlano chiaro. Il 46% del campione esaminato, per esempio, tende a giudicare in modo “non buono” il proprio stato di salute. Questo perché i sintomi peggiorano con il passare degli anni, e non sempre risulta agevole abituarsi a essi. Al punto che, a lungo andare, i pazienti percepiscono in modo netto la “cronicità” del loro stato di malattia, segnalando lo stesso grado di limitazioni che possono investire un iperteso, come anche un malato di artrosi. La stipsi cronica, dunque, esercita un forte condizionamento sulla vita di chi ne è affetto. E i dati dello studio rivelano che essa è in grado di restituire anche un vissuto di profondo disagio, oltre che attivare un processo di ridefinizione della propria “normalità” di vita. Il prof. Guido Basilico, gastroenterologo dell’Ospedale Maggiore – Policlinico di Milano, riferisce, inoltre, che «i sintomi si concretizzano in difficoltà riscontrabili nella vita quotidiana dei pazienti, come: attenzione alla propria alimentazione (51%), sensazione di imbarazzo nel rimanere a lungo in bagno (49%) e preoccupazione di dover cambiare abitudini (41%)». Per non parlare, poi, delle implicazioni emotive. Esse, al pari di quelle fisiche, provocano una vera e propria alterazione del benessere del paziente, condizionando seriamente il suo modo di affrontare e vivere la quotidianità. Entrano in gioco, per esempio, la preoccupazione di non essere riuscito ad assecondare il bisogno del corpo (67%), la sensazione che il proprio organismo e le sue attività di regolazione non funzionino affatto bene (62%), oppure la forte paura che i disturbi possano peggiorare (58%).  

Tuttavia, la percezione del malessere e del peggioramento della qualità della vita non sono legate esclusivamente alla natura del disturbo, ma anche all’insoddisfazione del paziente rispetto alla terapia oggi disponibile, rappresentata primariamente dai lassativi. Difatti, la ricerca LIRS rileva che solo 1 paziente su 5 è soddisfatto della somministrazione prescritta dal medico specialista. La percentuale di chi si è dichiarato insoddisfatto, invece, varia dal 35% per i pazienti di grado medio, fino al 50% per coloro che mantengono un grado di cronicità più severo.

Quello che in sintesi emerge dalla ricerca LIRS è un quadro piuttosto complesso che pone in luce la necessità di un approccio più attento e mirato alla stipsi cronica. Mettendo in campo scelte terapeutiche destinate a diminuire gli effetti invalidanti della patologia sulla qualità della vita fisica ed emotiva dei pazienti.

Simone Bruno
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